venerdì 9 ottobre 2015

HO TRENT'ANNI: SUVVIA, PARLIAMONE.

Se c'è uno straccio di genetliaco che val bene una citazione sul blog, beh, è questo: domani avrò trent'anni, cifra tonda.

Il che dovrebbe far paura, e invece no, perché la mia crisi l'ho già avuta ai ventisette - l'anno in cui ho capito che, nonostante il tesserino, sarei comunque stata troppo vecchia per le riduzioni agli universitari - e adesso son qui bella paciarotta. Io odio festeggiare i miei compleanni (credo abbia a che vedere con il mio disturbo da ansia da prestazione) e quest'anno non sarà l'eccezione alla regola: niente party alla Grande Gatsby in casa Pelliccia, ma se volete farmi gli auguri (e i regali, razza di poracci!) sono sempre ben accetti.

Tuttavia, nonostante questo mio generale distacco e poco entusiasmo per la celebrazione dell'avanzare della mia ormai veneranda età, beh, direi che l'avvenimento spinge a una riflessione: insomma, trent'anni non sono il momento perfetto per fare tutte quelle cose del tirare le fila, mettere punti e darsi nuovi obiettivi? Non sono il momento perfetto per i punti sulla situazione, i programmi per il futuro e la definizione di cosa è veramente importante nella vita?

Sì, i trent'anni sono il momento ideale per mettere in cantiere un sacco di progetti interessanti: incominciare a bere acqua detox, per esempio, e passare dalla crema idratante a quella antirughe perché non possiamo più tardare la presa di coscienza dell'esistenza delle malvagie rughe naso-labiali e del fatto che nessuna di noi rimarrà immune a lungo.
Sarà il caso di piantarla con le letture da ragazzina e fare l'abbonamento annuale  a Vanity Fair, sia mai che arrivi il momento buono per imparare a vestirmi come una signora, non più come una signorina.
L'impegno concreto che voglio prendere per l'arrivo dei miei trent'anni, e lo dico pubblicamente davanti a tutti voi, è quello della crema anticellulite, perché va bene la corsa, va bene la Kayla Itsines e l'acqua con l'alga spirulina, ma qua è arrivato il momento di tirar fuori l'artiglieria pesante e affrontare la mia peggior paura, che si riflette nell'immagine di una me, nuda e tremante una mattina di gennaio, nel freddo della bruma, a spalmarmi roba color fanghiglia stando attenta a eseguire movimenti circolari esercitando una pressione costante.
Forte del fatto che, insomma, quando uno ha trent'anni diventa assolutamente giustificato l'utilizzo di espressioni quali "ai miei tempi" o "quando ero giovane", la vecchiezza diventerà non solo autorizzata ma per me motivo di vanto: diamo quindi un caloroso benvenuto alla copertina il venerdì sera e alla coca cola all'aperitivo quando la sera prima si è esagerato; le serate più divertenti saranno quelle in cui potremo ricordare i bei vecchi tempi all'università, da cui ormai ci separano i secoli, con toni nostalgici, tracannando birra. Lo so, lo so che a trent'anni si dovrebbero perdere le brutte abitudini e cominciare a trattare il nostro corpo per quel tempio che è, ma vi ricordo che io ho già intenzione di fare lo sforzo con la crema anticellulite. Una cosa per volta.

Altre cose importantissime da fare prima che arrivi domani: procurarsi un ombrello con cui andare in giro senza provare vergogna (no rosa, no pois, no fru fru, NO HELLO KITTY); aprire un fondo pensione che, ok, mi avete convinto, non si sa mai; togliere dal curriculum quella voce che lascia ad intendere che sappia parlare vagamente tedesco, ho smesso di studiarlo dodici anni fa, farsene una ragione; fare una compilation su Spotify di sole canzoni italiane anni 90 da ascoltare mentre stiro (sono naturalmente compresi Nek, Syria e i Dirotta Su Cuba, Massimo Di Cataldo no.); buttare via i tesserini dell'università che riportano una me diciottenne veramente poco credibile ormai, cosa che avrei dovuto fare già ai ventisette, ma non ho fatto perché ero troppo depressa; smetterla con lo shopping compulsivo, ho bisogno di pochi capi che mi valorizzino (AHAHAHA *risate fuoricampo*); programmare un viaggio fighissimo; imbottirmi di VivinC perché iniziare i miei trent'anni con gli acciacchi, grazie ma anche no.

Sono stanchissima. Per i prossimi buoni propositi, mi sa che ci vediamo ai quaranta.



domenica 4 ottobre 2015

SHOPPING SENZA FRONTIERE: DEPOP.

A volte, anche in una città come Milano, lo shopping è una pratica difficoltosa. Indirizzi sbagliati, orari d'apertura da medioevo, impegni lavorativi e un sistema metropolitano inefficiente ci conducono troppo spesso a optare per la scelta più ovvia e più semplice, ovvero Zara. Zara, per coloro a cui piace vincere facile.

Il mese scorso cercavo una cintura un po' gioiello da abbinare all'abito per il matrimonio del primo (e unico) tra i miei cugini a cui non sono venuti eritemi in faccia al solo sentir menzionare la parola "confetti". Non che ci avessi pensato io,onestamente, ma di fronte al mio allegro abito pantalone blu notte abbinato con accessori neri, Madre e zie timidamente mi hanno suggerito l'idea di dare un po' di luce al mio abbigliamento funereo con qualcosa che fosse un po' meno creepy e magari intonato alla clima di giuoia della serata imminente.

Quindi volevo una cintura a vita alta, sottile, magari colorata, magari con delle pietre. Piena di buone speranze, sono uscita di casa e mi sono aggirata per il mio quartiere, Isola, il quale letteralmente pullula di negozietti vintage e second hand, vuoi che non riesca a trovare qui la cintura che mi aggrada? E infatti. Al che, amareggiata e con un culo più pesante di una sporta di mattoni, l'ideona: cià, ma proviamo a vedere cosa trovo su Depop.

Depop (ma molto tempo prima che vi approdassi io si chiamava Garage) è una specie di mercatino dell'usato virtuale in cui blogger, shopping compulsive e chiunque altro vende-compra-scambia in un ambiente relativamente protetto. Non so come né quando né perché, ero iscritta ab illo tempore senza mai degnarmi di usarlo, fatto sta che l'app campeggiava tronfia con il mio profilo intonso sullo schermo dell'Iphone.

Da vera vecchia quale sono, ho sempre titubato sugli acquisti on line, in primis per una questione di anziana malfidenza (ma sarà mica una truffaaaaaa?), e in secondo luogo perché l'idea di acquistare senza vedere-toccare con mano e soprattutto provare mi genera un po' di ansia. Eppure come si sa, a mali estremi occorrono rimedi estremi, perciò, senza grandi aspettative, mi sono messa a spulciare in cerca della cintura perfetta e... tadaaaan!  Contro ogni aspettativa, eccola lì la mia cintura, un gioiellino targato Armani primi anni 90 in raso nero e cristalli, ammiccante dallo schermo e, destino dei destini, DELLA MIA MISURA!

Luccica e sta almeno dieci centimetri sopra l'ombelico... perfetta direi!

E' stata un'escalation dalla potenza inarrestabile di una slavina: intanto ho pensato, se compro perché mai non dovrei anche vendere, e far fruttare così tutti quegli ingombri vestitiformi che sono sopravvissuti al ciclone Marie Kondo solo per rimanere un'altra stagione a campeggiare nel mio armadio?
Naturalmente, prima ancora che avessi deciso anche solo vagamente cosa mettere in vetrina, avevo di nuovo acquistato un paio di occhiali da sole, introvabili nel colore che mi piaceva in tutto l'interland milanese.

Ciao Me-Tro Spektre Blue Mirror, vi ho desiderato tanto, non lasciamoci più.

Questa è la prima difficoltà di Depop: mantenersi razionali. C'è tanto ciarpame naturalmente, tante cose che semplicemente non interessano, ma trovi anche pezzi meravigliosi, introvabili, desiderati, il più delle volte a veramente poche manciate di euro o comunque a prezzi vantaggiosi rispetto a quelli dei negozi fisici. E la tentazione è forte, perciò è necessaria l'autodisciplina: io mi sto creando una sorta di wishlist di oggetti che mi piacciono, e ho deciso che comprerò man mano che, vendendo, me lo potrò permettere. In questo modo non divento povera e tengo fede al mio proposito di non sovraccaricare l'armadio. Al momento sono a tre acquisti e ho una wishlist chilometrica che comprende una gonna di Lazzari adorabile con le taschine a forma di mela, una pochette rosso fragola American Apparel, scarpe improbabili e un'insegna rotativa al neon (?).

No, ma non mi sta prendendo la mano.

Se gli acquisti vanno alla grande, delle vendite posso giusto non lamentarmi: Depop ha solo confermato un sospetto che avevo già da tempo, ovvero una scarsa propensione da parte mia per gli affari. Se il mio approccio verso quello che voglio comprare è mi piace - pago - prendo, quello del 90% del resto del mondo è forse mi piace ma vorrei le foto anche del buco del culo - ti chiedo le misure precise al millimetro - che composizione ha? - vorrei vederlo indossato - ho gli sbatti però giuro ti pago - ho problemi con PayPal - ho problemi con Postepay - mi è affogato il pesciolino rosso e non ho potuto ricaricare - ma mi fai lo sconto? - le spese di spedizione non te le voglio pagare - scambi? 
Ci sono persone con cui si arriva a scambiarsi i dati del pagamento e poi spariscono. Letteralmente. Nel nulla.
Altre fanno proposte assurde.
Tutti hanno problemi. E tutti (tranne me) sono bravi a chiedere gli sconti.

Anche su Depop la differenza tra la gente figa e me è lampante, e il fattore discriminante non è tanto quello che proponi quanto - scopertona -  come lo fai. Ho capito che la qualità migliore nel mondo contemporaneo è la capacità di fare foto decenti. E avere una casa adeguatamente illuminata.
Io devo ovviamente fare tutto da sola, ho chiesto una volta una foto a Il Pelliccia e ciao. Ragazzi, faccio quello che posso, davvero: spesso ho paura che il portinaio passi sul ballatoio e mi becchi in mutande in piedi sul tavolo a fotografare un foulard. Il risultato sono sempre foto sovraesposte, sgranate, con me che cerco goffamente di nascondere il fatto che sotto quell'adorabile giacchina che sto cercando di propinarvi, ho un pigiama  con la faccia di Pluto.

Qualche informazione per le vecchiacce malfidenti come me: 
è sicuro? Con un po' di buonsenso annesso, direi di sì. Ovvio che ci sono le fregature, tipo gente che cerca di rivenderti cose che troveresti a molto meno direttamente in negozio o ciarpame inguardabile. Tendenzialmente però, il fake è controllato, punito e castigato, e pagando direttamente tramite il sito hai anche diritto a una tutela in caso di acquisto di merce non conforme a quella pubblicizzata (leggi, truffeeeeeee). Da parte del venditore, i soldini ti arrivano direttamente sul tuo conto PayPal e se la merce che hai spedito per un qualche motivo viene dirottata in Perù interviene Depop che ti rimborsa. 
è conveniente? Sì, no, dipende. Devi stare attenta a cosa stai cercando, valutare le proposte ed essere veloce. Perché è ovvio che se c'era un'occasione, te l'hanno appena soffiata sotto il naso. La buonafede è alla base, ma non passate per coglione: ovvio che certe cose non le regala nessuno, ma prenderle di seconda mano per risparmiare un pulcioso euro anche no. Fate cinque minuti di ricerca su internet e siete in grado di capire se ne vale la pena o conviene girare da un'altra parte.
è lucroso? AHAHAHAHA. Se pensate di fare i soldi con Depop, CIAO. Il mercato è saturo, e ci sono già le leonesse a detenere il posto fisso in Home page. Accontentatevi di ricavarci la paghetta e di avere l'occasione di disfarvi di pezzi che tenete nell'armadio a fare la muffa da ormai troppo tempo.
è davvero interessante? SI'. In mezzo al ciarpame c'è la possibilità, per chi ha la tenacia del cane da tartufo, di trovare pezzi veramente unici: c'è del vintage, ci sono oggetti del desiderio andati sold out ovunque, il fatto a mano, le edizioni limitate del recente passato, o semplicemente oggetti che covavi da tempo ma che non ti era mai riuscito di trovare nelle tue solite frequentazioni.

Turbante fatto a mano, il brand si chiama S L O W L Y e crea dipendenza.

Vi ho convinte? Ci vediamo su Depop? E allora vi smarchetto subito il mio account che certamente è lagianni85: va bene, le foto fanno cagare, è vero, l'ho infarcito di puttanate di Zara, ma i prezzi cercano di essere onesti e non vi faccio pagare le spese. E poi dai, l'insegna rotativa in cucina mi serve davvero.

Ma vi immaginate le minchiate che potrei scriverci?!



giovedì 24 settembre 2015

SI FA PRESTO A DIRE SHOPPING

Parlare della Milano Fashion Week durante la Milano Fashion Week è così mainstream che ormai non lo fa più nessuno, apparte IoDonna e MarieClaire. E vivaddio, perché se c'è un periodo dell'anno in cui sentirti la grande esclusa, è proprio questo: niente party. Niente sfilate. Manco un pulcioso fotografo di street style che ti si fila (ehy Scott Schuman, dico a te se mi leggi!). Per fortuna che ieri sera hanno passato KungFu Panda alla tv, sennò sai la noia.
Pertanto non proferiremo verbo sulla questione - tranne che per dire che la Chiaretta Ferragni per il momento sta azzeccando tutti i look, alla faccia di chi le vuole male - ma parleremo piuttosto di altro,  argomenti caldi che necessitano una più approfondita dissertazione, ad esempio:
che alternativa trovare a questa riga in mezzo che ha stufato e che ho scoperto dopo due anni che mi sta male perché ho la fronte bassa?
è forse giunta l'ora di prendere in considerazione una seconda sfilza di sedute per la depilazione laser e disboscare definitivamente le gambe?
cosa regalarmi per celebrare i trent'anni che si avvicinano? 

Ma anche: perché è così difficile fare lo shopping per i bambini?

Stasera andiamo a cena a casa dell'ultimo nato dell'ormai nutrita schiera di nipotini e nipotine acquisiti: un bel batuffolino cicciottoso col naso a patata che si chiama come la più ganza della Tartarughe Ninja. C'è di che festeggiare, e festa significa regalo, sennò si sarebbe chiamata pizzata e pace all'anima. Inoltre, il galateo non scritto dei bambini vuole che non ci si dimentichi che il festeggiato in questione ha sorelline/fratellini più grandi, oltretutto reduci da forte shock emotivo, che necessitano pertanto di un premio di consolazione. Per espletare questi miei doveri morali, oggi sono andata in missione baby shopping. Trattasi di una di quelle attività, insieme ai matrimoni, per cui generalmente mi si attribuisce uno stratificato know-how, per il semplice fatto che mi ritrovo spesso ad averci a che fare. Errore. Così come ai matrimoni non so mai cosa mettermi né quali sono le frasi di augurio adatte da sussurrare all'orecchio della sposa, lo shopping per bambini mi catapulta in una realtà parallela in cui le misure vengono espresse in centimetri e i giochi hanno sempre parti piccole che potrebbero essere ingerite o aspirate (crisidansia: ma perché ce le devono mettere, queste parti, non possono creare giochi da un unico blocco di plastica?).
Certo, qualche nozione di base ce l'ho. Ad esempio so che, mentre la PeppaPig divide genitori e bambini (e io sto coi genitori, perché questa storia delle famiglie monorazziali deve proprio finire), mentre invece Masha e l'Orso mette d'accordo un po' tutti (tranne Il Pelliccia, che familiarizza con l'Orso e ci sta male). Ma al di là di questo, brancolo nella nebbia per terreni sconosciuti.

Trovandomi già per caso in zona Duomo per via dei miei illeciti traffici su Depop (devo farci un post, in effetti...), ho optato per la mecca degli undercinquenni, ovvero il Disney Store: dove, se non lì, puoi sperare di cavartela con i regali per un bambino? Eppure, anche lì, i livelli di difficoltà non sono mica così semplici:

- livello di difficoltà n.1: decifrare le taglie. Da Disney sono già un passo avanti, oltre la presunta lunghezza dell'infante, ti indicano direttamente sulla gruccetta la corrispondenza in mesi, a partire dal newborn (delle cosette piccine picciò che ciao) fino a boh, i dodici anni credo, evitandoti l'imbarazzo di girare col metro Ikea in tasca per prendere le misure ai figli delle tue amiche. Solo che io, dopo aver collezionato decine di mamme che, riferendosi al proprio pargolo, declamano: "Questo piccolino è nato l'altro ieri epperò gli devo già mettere le tutine dei sei mesi" non mi fido. Inoltre le taglie vengono espresse in multipli di tre: 0-3 mesi oppure 3-6? Aiuto, ma la via di mezzo? Come crescono sti bambini, alla SuperMario quando mangia i funghetti? Il logaritmo diventa più complicato in quanto si ha a che fare con creature che si allungano alla velocità della luce, perciò c'è sempre il dubbio: glielo prendo giusto giusto che se lo mette adesso, oppure sto abbondante sui 3-6 mesi che mi levo dall'impiccio? E se sto abbondante, fammi calcolare in che mese saremo da qui a 3-6, mica che gli compro il piumino che gli va bene ad Agosto e lo mando in infradito ad aprire i regali sotto l'albero.

- livello di difficoltà n.2 : con cosa giocano i bambini? Se c'è una cosa pacifica, è che le cose che andavano di brutto quando ero piccola io, cioè le Barbie, il Mio MiniPony e il Banco Scuola, non tirano più come una volta. Che poi mi chiedo con quale entusiasmo a me e alla Sgnappa piacesse giocare con il Banco Scuola, vista la costellazione di innumerevoli banchi che ci avrebbe aspettato distribuita uniformemente per i futuri vent'anni della nostra vita. Eppure ci giocavamo di brutto: io, in quanto Sorella Maggiore, avevo il diritto insindacabile di coprire il ruolo della maestra, schiavizzando la Sgnappa a fare finti compiti che se non finiva, lavativa, la spedivano diretta a scontare la punizione. Ora che ci penso, forse mi ci divertivo solo io.
Comunque, per il benessere di tutte le sorelle e i fratelli minori costretti a subire angherie e nonnismo, questi sono giochi che non vanno più di moda: al Disney Store ho visto set di personaggi sconosciuti in plastilina, giochi radiocomandati e peluche di principesse ciccione. Ma che è sta moda delle principesse ciccione? Ok che la Barbie era forse un pelino troppo figa, ma non siamo un po' giovani per questo bagno di crudo realismo? 

- livello di difficoltà n. 3: come evitare un regalo da perdente. Che poi in ogni caso il vero problema è: ok ma quali sono le principesse fighe e quali quelle sfigate? Per esempio, da piccola mai e poi mai avrei voluto che mi regalassero una Biancaneve (orrore! Una principessa coi capelli corti!) o quella cessa di Pocahontas che finiva sola e mesta, mentre ovviamente avrei gioiosamente gradito le fighe di Belle e di Aurora che si sparavano il ballo finale con un vestito degno del Mio Grosso Grasso Matrimonio Gipsy! Ci sono sempre i personaggi di serie B, e tendenzialmente li riconosci perché  gli scaffali a loro dedicati sono sempre i più pieni. Però sarebbe carino se il personale, adeguatamente istruito, ti desse suggerimenti pratici del tipo: "La bambina ha otto anni? Naaaaa Violetta è superata ormai, adesso va di moda Descendants che, tu non lo sapevi, me è tipo l'Once Upon A Time dei prepuberi, e guarda, questo è il personaggio figo e tal'altro lo sfigato..." e così via, guidandoti in un a scelta più consapevole.
Non potendo usufruire di questo illuminato servizio, ho dovuto fare da me e ho scelto:
per lui, una tutina di Topolino non troppo azzurra (che mi fa sempre tristezza) e senza quei piedini e manine incorporati (che mi fanno sempre camicia di forza), un po' abbondante, con le maniche lunghe e in felpa, per il prossimo Dicembre dovremmo esserci. E due bavaglini abbinati che secondo me di quelli le mamme non ne hanno mai troppi.
per lei, mi sarebbe piaciuto buttarmi su qualcosa di Inside Out che mi piace troppo, ma a parte il dubbio (e se non l'ha ancora visto? Se non le piace?), tutte le bambole di Gioia erano finite (ma dai?) e io non volevo comprare né Tristezza né Disgusto (e Rabbia mi fa un po' paura) e soprattutto, non c'erano altri giochi se non penne e gomme colorate. E astucci. Ma io dico. Alla faccia del Banco Scuola! Così alla fine mi sono buttata su quell'ancora di salvezza che è Frozen, perché Olaf piace sempre a tutti a prescindere da età, sesso e religione. Mentre facevo la fila per la cassa però mi è caduto l'occhio su certe cover per l'IPhone, e ripensandoci devo dire che per soli quindici euro e novanta, anche se è rimasto solo Rabbia...


lunedì 14 settembre 2015

LITIGARE

Questo è un post che ho scritto qualche mese fa, in una palude di tristezza, e che non ho avuto il coraggio di pubblicare, perché mi spaventava. 
Lo pubblico adesso, perché è più facile fare i conti con la propria debolezza, una volta che ce la si è lasciata alle spalle.
Ti amo tanto.


A volte non c'è una ragione per farlo.
A volte è solo una stupida necessità fisica, pura cattiveria, perché io sono triste, io sono nervosa, io non mi piaccio come sono, non mi piace quello che faccio, quello che penso, quello che scrivo io, e poi io io io io.
A volte è solo sadismo, è solo masochismo, è solo un pretesto.
A volte sembra che a digrignare i denti ci si senta meglio, serva a scaricare le colpe che non abbiamo sulle spalle di qualcun'altro, perché c'è bisogno, un bisogno concreto, di sentirsi più leggeri.
A volte è per niente, solo perché in fondo in fondo si è rimasti capricciosi, si hanno cinque anni e il ciuccio come mia sorella che ne ha due lo voglio anch'io, poi si hanno dodici anni e le mie amiche vanno al concerto a San Siro, e poi si hanno sedici anni e voglio andare in discoteca e mi rompe che mi dici va bene vai ma torni all'una, che all'una forse cominciano giusto a farti entrare, al Celebrità. E poi hai trent'anni, e ti senti come quando ne avevi cinque e poi dodici e poi sedici e hai deciso che vuoi litigare.
A volte è perché sono così inutile, così maledettamente inutile, e avrò il diritto santo dio, avrò il sacrosanto diritto di urlare al mondo che non è colpa mia, che non è giusto, e che vi odio vi odio vi odio, ma il mondo non è mica lì a stare a sentire te, e non puoi spaccare i vasi, non puoi prendere a pugni i muri, o la tua testa, allora prendi a pugni qualcun'altro, forte, più forte, e non importa quanto gli faccio male, di quello, forse, me ne preoccuperò dopo, ci penserò dopo, adesso ho solo voglia di veder scorrere il sangue, di graffiare, di urlare, urlargli, perché sì, perché secondo un logica malsana, distruttiva, non posso stare male da sola.
Perdio, non posso stare male da sola.
Se ti faccio male, è perché non posso stare male da sola.

mercoledì 9 settembre 2015

COSA STO FACENDO DI TANTO INTERESSANTE

Avete presente che fastidio quelle persone che si giustificano sempre del fatto di non essere riusciti a fare qualcosa con la scusa che non avevano tempo? Io le odio, perché sono del partito che se ci si tiene, il tempo lo si trova per fare qualunque cosa. Scrivere sul blog per esempio. 

Ecco, eppure sono settimane che latito e il motivo, giuro, è che non ho avuto tempo. Dato che non sto scrivendo un romanzo, né pulendo le fughe delle piastrelle, che cosa mai mi starà tenendo tanto impegnata e tanto distante dal blog? Ecco un sunto di quello che sto facendo da poche settimane a questa parte, e credetemi se vi dico che ho lo smalto sbeccato da due giorni e me ne vergogno ma ancora non ce l'ho fatta a cambiarlo:

- sto lavorando, molto ma soprattutto con soddisfazione, esperienza che non capitava più da troppo tempo ormai. Mi destreggio tra turni che spaziano dalle 8.30 del mattino alle dieci di sera, con conseguente labirintite e alterazioni nel ritmo circadiano, ma a cui mi adatto con grazia, buona volontà e stoicismo, grata al destino benevolo che mi fa alzare dal letto la mattina con entusiasmo e senza vedere la morte nera e mi fa tornare a casa la sera assaporando il gusto dolce di una stanchezza produttiva e soddisfacente. L'anno orribile che mi sono lasciata alle spalle mi ha insegnato una cosa fondamentale, e cioè quanto importante sia l'impatto che la sfera lavorativa ha sulla mia vita, il mio umore, il mio benessere. Perciò, un consiglio spassionato: non rimanete infelici, perché il lavoro non sarà tutto, ma è comunque tanto, e quando vi mangia il fegato rischia di inghiottire anche tutto il resto.

- mi sto allenando, secondo il programma di quella pazza di Kayla Itsines e la sua Bikini Body Guide. Ebbene sì, ho deciso di prepararmi alla prova costume alla fine di agosto, a riprova di un tempismo che da sempre mi appartiene. Diciamo che è un investimento per l'anno prossimo preso con grande anticipo. La BBG l'ho ovviamente scoperta su Twitter, perché le blogger del mio cuore ci stanno in larga misura provando, e da brava influenced io mi faccio tirar dentro a qualsiasi cosa. Se domani decidessero di collezionare cacche secche probabilmente mi trovereste a battere marciapiedi assolati alle due di pomeriggio. Comunque. Questa BBG è praticamente un impegno a tempo pieno: il succo è che hai un programma di allenamento di dodici settimane in cui alternare sessioni di allenamento cardio e workout per diventare figa. Detta così sembra facile, in realtà è una mazzata: io sono alla quarta settimana e mi toccano tre uscite di corsa leggera (mezz'oretta) + tre allenamenti, lunedì gambe, mercoledì addominali e braccia, venerdì total body. Il Pelliccia, che di tanto in tanto mi segue al parco, armati di tappetino e pesetti, può testimoniare che non sono una passeggiata. La vera destrezza sta tuttavia nell'organizzare le uscite di allenamento incastrandole con i turni lavorativi: Rubik, scansati. In tutto ciò, dopo quattro settimane io non ho ancora il mio belly slot, e la cosa mi fa alquanto incazzare. Forse dovrei riflettere sul fatto che scionfarsi di rotelle alla liquirizia tutte le sere dopo cena non aiuta la causa. Mi riprometto comunque di aggiornarvi quando e se arriverò viva alla fine delle dodici.

- sto leggendo libri fighi ultimamente: pensavo che la mia vita sarebbe finita con il concludersi dell'ultimo capitolo de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, soprattutto perché subito dopo sono incappata nella Guida Galattica per gli Autostoppisti e, boh, forse sono io che non capisco lo humor inglese, ma mi ha fatto cagare a volontà. Ero a un passo dal gettarmi dal dirupo del Monte Fato, e invece ho scoperto che c'è ancora una speranza là fuori: nell'ultimo mese ho letto Dio di Illusioni di donna Tartt (fighissimo) e Lo Strano Caso del Cane Ucciso a Mezzanotte di Mark Haddon (tenero), ma soprattutto sto leggendo IT. IT. Quello che la mia mamma non mi ha mai permesso di vedere  il film quando ero piccola perché avrei fatto brutti sogni e quando sono diventata più grande mi cagavo sotto. Beh, anche adesso mi cago sotto. Quando lo leggo e sono a casa da sola controllo bene che la porta sia chiusa a chiave e lascio una luce accesa in corridoio. Non si sa mai. Sono mille e trecento pagine di libro e non riesco a lasciarlo giù: me lo carico nel cestino e caracollo fino al lavoro e in pausa mangio una focaccia velocissima per avere tutto il tempo possibile per leggerlo. Sono letteralmente assuefatta. L'altro giorno riflettevo col Pelliccia di come le nostre (mie) conversazioni siano per grandissima parte influenzate dal libro che sto leggendo in quel periodo, specialmente se, come spesso succede, mi genera questo effetto di morbosa dipendenza. Io ho bisogno di condividere, e non faccio granché caso al fatto che magari il mio interlocutore quel libro non l'ha letto e che, non so, magari potrebbe aver voglia di leggerlo un giorno e io gli sto, come dire, spoilerando tutto lo spoilerabile. Comunque. L'abbiamo letta tutti la notizia che la Rowling sta lavorando al prossimo Harry Potter in uscita per il 2016, non è vero?

- sto facendo shopping. Ma che strano. Ho comprato una gonna da pin up con l'orlo sceso (che Madre ha prontamente riparato, grazie Madre) e una camicia con le spallotte anni '80 in un negozino vintage dietro al Duomo per la sproposita cifra di 20 euro totali, un paio di skinny jeans neri a vita alta e con le ginocchia di fuori che mi sento troppo la mia compagna di banco al corso di russo, ma soprattutto i miei adorati Spektre Me-tro blu e una cintura Armani vintage in satin nero con fibbia di cristalli sul mio nuovo feticcio, Depop. E a proposito di Depop

- sto vendendo. Una volta buona, invece che continuare a scialacquare e basta, ho pensato di utilizzare questa magica piattaforma, che è a metà fra Instagram e EBay, per il suo scopo più nobile, ovvero disfarmi di roba che per un motivo o per l'altro non metto più e monetizzare nel frattempo per rimpolpare il mio guardaroba di cose che adesso mi sembrano assolutamente indispensabili ma che tra un paio di mesi per un motivo o per l'altro non metterò più e forse vorrò rivendere e così via, in un circolo di becero consumismo e follia che non vedrà mai una fine. Ho iniziato oggi e ho già venduto due - due!- oggetti, sono emozionatissima! Tipo che la prima notifica di acquisto è stata un po' del genere Oddio! Ho venduto! Ma io non credevo sarebbe successo veramente, l'ho fatto solo così, per provare! E adesso che faccio? Come si spedisce sta roba? Devo chiamare il corriere? Fammi vedere a che ora chiudono le poste! Devo comprare una montagna di buste quelle con i pallini dentro, così una la uso per la spedizione e a tutte le altre schiaccio i pallini per tenere a bada tutta questa agitazioneeeee! A parte il mio isterismo, tutto bene. Se volete dare un'occhiata alle mie cianfrusaglie mi trovate come @lagianni85 ovviamente. Cercherò di essere onesta, promesso.




martedì 18 agosto 2015

SCARPE CON GLITTER E ALTRI ACQUISTI SCONSIDERATI

Insomma, è autunno.  

Una volta passato anche ferragosto, si fa quel periodo dell'anno in cui una volta cominciavamo a manifestarsi pruriti per zaini, pastelli e diari rosa. Adesso si accarezzano i maglioni di cachemire, si cominciano a compilare liste di tè e tisane da provare e, soprattutto, si comprano scarpe.

Dopo un'estate passata ciabattando in Birkedioleabbiainglorianstock, un po' pregusto un po' tremo al pensiero dell'imminente ritorno alle scarpe chiuse. Le scarpe dell'autunno sono della specie più pericolosa in assoluto perché, se d'inverno andiamo tranquille col supporto del calzettone di lana merino infilato a forza sotto lo stivale, in autunno c'è da andare a piedi scalzi. Anche se all'improvviso si dovesse mettere a fare cinque gradi il primo di settembre, regole non scritte vogliono che collant e calzettoni siano vietati, si va col cappotto e intabarrati fino alla punta del naso ma la caviglia che sia coraggiosamente scoperta. Ergo, comprare scarpe per l'autunno necessita di un'attenta valutazione: dovranno essere morbide e di ottimo cuoio per evitare stigmate e purulente piaghe da sfregamento, bisognerà fare attenzione a lacci e laccetti, che se poco poco butta una giornata di sole si ha l'effetto cotechino. 
Si parte così, sempre armate di buone intenzioni e di questionari dettagliati da sottoporre ad ignare commesse, fermamente convinte che quest'anno no, non si cederà al primo modello in cartapesta, costellato di borchie che si incastonano direttamente nella pelle e con una suola di pura ossidiana che sloga le caviglie solo perché è tanto cariiiiiino.

E infatti al primo colpo, occasione imperdibile pescata tra i saldi di luglio, ho acquistato queste:

Guarda come brillano!

Sono di Kurt Geiger e non ho potuto veramente impedirmelo perché:
A. sono di glitter oro, ripeto: sono di glitter oro.
B. mi fanno sentire il Gran Ciambellano della Maria Stuarda.
C. erano scontate del 50%.

Glitter e calzatura sono due vocaboli che mai dovrebbero incontrarsi in questo universo spazio temporale. Sembra di indossare le carcasse di due ferri da stiro e ho paura che ci camminerò con un'andatura alla Frankenstein che mi farà onore. Già pregusto le escoriazioni e le chilometriche bolle che mi faranno piangere lacrime di pentimento, ma è lo scotto da pagare per sì adorabili creazioni. 

Per non lasciare scampo alcuno alle mie povere estremità, da Zara ho comprato senza neanche provarle queste:

C'è ancora attaccato il cartellino, quanta tenerezza...

Non che volessi eh. Galeotto fu un viaggio di ritorno dalla Liguria con Pelliccia intento alla guida e nonna dormiente sul sedile posteriore. Per tenermi compagnia ho aperto la app di Zara e toh! Hanno appena messo fuori la nuova collezione! Le ho viste e ho sognato di loro tutta la notte come fanno gli innamorati. Il giorno dopo in pausa pranzo, coperta da una divisa siberiana e sudante come un panda in sauna, ho chiesto il favore ad un attonita quanto sconosciuta ragazza di provarle per me, perché tu sei senza calze almeno vedo come ti stanno, ho un quarto d'ora e devo rientrare dalla pausa, grazie! Sono BELLISSIME. Un po' Aquazzura, un po' Tango di Valentino, sicuramente molto Zara, infatti quando ci cammini fanno sgnec sgnec.

Potevo dirmi soddisfatta, ma si è messo di mezzo il cesto dei panni. Il mio cesto dei panni in vimini bianco si è rotto, dopo quattro anni di onorato servizio. Così qualche giorno fa ho caricato su Madre e mia sorella Sgnappa per una gita di piacere alla ricerca del nuovo sostituto. La qual ricerca non ha purtroppo sortito i risultati sperati, in quanto sono tornata a casa senza cesto ma con un paio di adorabili ballerine a punta. In un colore neutro che ho prontamente abbinato a dovere, perché soffrire va bene, ma che ne valga almeno la pena.

Sobrietà, questa sconosciuta.

giovedì 13 agosto 2015

LA GIANNI GOES TO EXPO: GUIDA GIANNICA SUL MEGLIO, SUL PEGGIO, SUL BUONO DI EXPO 2015.

Il Pelliccia ed io eravamo seriamente convinti che fosse una buona idea visitare Expo nella settimana di Ferragosto, quel periodo dell'anno in cui le strade a Milano sono lande deserte e le uniche saracinesche ancora sollevate corrispondono a centri massaggi thai. D'altronde - ci siamo detti - tutta la brava gente sarà ben al mare a puntellare l'ombrellone no? NO. Erano tutti ai tornelli alle dieci e mezza del mattino.

Ma gente o non gente, Il Pelliccia ed io si era prenotato con grande entusiasmo almeno una dozzina di ore prima e quindi sì, anche La Gianni, col consueto ritardo sul resto del mondo, ha effettivamente varcato i cancelli di Rho Fiera e, armata di marsupio e ciabattazze, in perfetto stile deutsch, ha fatto il trionfale ingresso all'Esposizione Universale.

Considerazioni generale sull'esperienza: partivo totalmente vergine di qualsivoglia informazione (leggi: scalpitavo dalla voglia), non fosse per i post-oracolo di Vita su Marte, al cui giudizio ormai mi affido anche per comprare i peperoni al mercato, e che ho utilizzato come linee guida per la scelta dei padiglioni da visitare (perché è grande, impossibile vedere tutto). Rettifico: che avrei voluto utilizzare come linee guida per la scelta dei padiglioni da visitare, mentre invece mi sono basata via via sulle forze che mi rimanevano per affrontare le interminabili file all'ingresso. L'ora trascorsa immota sotto il sole bollente in attesa di varcare i tornelli ha sensibilmente minato la mia forza di volontà.

In generale, mi è piaciuto, sì. Dall'alto della mia totale ignoranza sull'evento, mi sarei ingenuamente aspettata un'esposizione in cui venivano trattati temi come lo sviluppo e l'ecosostenibilità, invece mi sono ritrovata nel mezzo di un'enorme fiera del cibo (entomofagia! Dove si parlava di entomofagia?), una fiera del cibo assolutamente figa però.

Sono riuscita a visitare: Brasile, Nepal, Cina, Marocco, Vietnam, Malesia, Azerbaijan, Austria, Polonia, Messico, Gran Bretagna, Federazione russa, Turkmenistan.

Mi sono persa e me ne dispiaccio: Padiglione Zero, Italia, Corea, Angola, Kazakistan, Emirati Arabi e Giappone.
In Giappone davano due - due ore di attesa per entrare. Il Padiglione Zero era inavvicinabile.

Ecco quello che mi è piaciuto di più:

  • primo posto per la Cina, seguita da Austria, Marocco, Azerbaijan e Polonia. Oltre ad un molto instagrammabile soffitto punteggiato di ombrellini, ho amato l'immensa distesa di steli di grano illuminati. Poi ti sparano un video strappa-lacrimuccia con protagonista una nonnina rugosa che aspetta i suoi nipoti per la riunione di famiglia in occasione della festa di mezz'autunno. Io e Il Pelle siamo stati particolarmente fortunati perché ci siamo beccati anche l'esibizione di danze tradizionali.
  • Marocco, forse il più coinvolgente dal punto di vista sensoriale: lo scopo era immergerti nella riproduzione dei diversi ecosistemi del paese, e per farlo non sono stati utilizzati solo luci, suoni e colori, ma anche la temperatura, perciò si passava dalla stanza fredda e umida dell'oceano a quella rovente e ventosa del deserto.
  • Bellissime le distese di tulipani che accendi passandoci sopra il palmo della mano in Azerbaijan, suggestivo il bosco in Austria, magica la riproduzione della foresta pluviale in Malesia.
  • La Polonia, malcagata dai più, mi ha stupito con il suo magic garden e una scultura enorme di cioccolato che profumava di meraviglia (fanno il cioccolato in Polonia? Io non lo sapevo!).
  • Molto particolare l'alveare del Regno Unito, che spunta in fondo ad un bel giardino. Tramite non so che diavoleria robotica, è tempestato di lampadine che si accendono e si spengono seguendo i ronzii prodotti dalle api in movimento negli alveari a casa della regina. 
Chi invece ha deluso:

  • Cinquanta minuti di coda in Nepal perché vuoi non visitare il Nepal, dopo tutti gli sbatti che ha avuto? Bellissimo da fuori, dentro c'è un Buddha dorato. Punto. Salvato solo per l'aperitivo a base di samosa.
  • Ho rotto fino allo sfinimento per visitare la Russia, paese per il quale ho una non celata predilizione. Una stazione spaziale - vodka bar e una gigantesca tavola degli elementi che mi ha riportato ai felici anni dell'università. Perfettamente allineati agli standard della madre patria, hanno accuratamente evitato di investire in aria condizionata.
  • Il Turkmenistan non ha ben capito la comanda ed espone pacchi di pasta e surrogati delle macine del Mulino Bianco.
  • Medaglia al disonore per il Messico, inspiegabilmente tra i consigliatissimi, ma che aveva molto poco a che vedere col cibo e tanto invece con l'autopromozione come meta turistica.
La cosa più figa da fare a Expo è naturalmente mangiare. Il Pelliccia ed io non si può dire che abbiamo proprio proprio pasteggiato: si è trattato piuttosto di un pranzo itinerante, con aperitivo di samosa e nimki in Nepal, polpettine vegetariane in Malesia, raclette svizzera, tacos messicane e per finire tè verde e dolci in Marocco.

Samosa e Nimki - Nepal
Ayam Panai - Malesia
Raclette - Svizzera
Tacos - Messico
Tè verde e dolci al miele e mandorle - Marocco

Anche se sfatti ce l'abbiamo in qualche modo fatta ad arrivare alle nove per vedere lo spettacolo dell'albero della vita e sì, spettacolo è la parola giusta. Nonostante ogni angolo di Facebook pulluli di foto e video a riguardo non ero preparata a una cosa del genere. Tanta, mi sembra il termine pù adatto a descriverla.

In conclusione, mi è piaciuto questo Expo? Sì, molto.
Ho imparato qualcosa di nuovo? Solo come si scrive Turkmenistan.
Ho speso un botto per mangiare? Un bottino diciamo, ma ne è valsa la pena.
Sono carica per il secondo round? NO. Per il momento direi che un tour de force di tale portata è affrontabile una volta nella vita. Per il resto, ci vediamo a Dubai tra cinque anni.

Cestini carini in Nepal.
Io e Il Pelliccia che ci divertiamo sulla rete in Brasile. Sotto di noi piante e ortaggi. Molto divertente ma mi è sfuggito il senso.


Il Padiglione cinese e l'interminabile coda.

Ombrellini di carta volanti.

I tulipani magici dell'Azerbaijan.

Il Magic Garden polacco e Il Pelliccia che fa lo scemo.

Entrando in Russia.

La tavola degli elementi, in omaggio ai molti scienziati russi che hanno contribuito allo sviluppo dell'agricoltura e alla sicurezza alimentare.

Mandorle e arance in Marocco.

Austria, la foresta che respira.

L'alveare in Gran Bretagna: le luci che si accendono e si spengono riproducono il movimento incessante delle api.

Dentro all'alveare.

Dacci dentro con le luci!






mercoledì 5 agosto 2015

DI COSTUMI E DUBBI AMLETICI

Ho una domanda per voi, e naturalmente è una domanda del massimo impegno: cosa ne pensiamo dei costumi spaiati? Ovvero di quelle bagnanti che sulla battigia sfoggiano il pezzo sopra di un tale colore e fantasia e quello sotto di tutt'altra specie?

No, perché io sono reduce dalla microvacanza: con tre giorni di riposo infilati uno dietro all'altro, ho fatto come Cappuccetto e sono andata dalla nonna, la quale ai primi caldi migra verso la riviera ligure per combattere l'afa a suon di cruciverba in terrazza e olive taggiasche. E si sa che la Liguria, e specialmente certune località, d'estate son frequentate solo dai Milanesi a spasso, fatto che mi lascia tranquilla sulla bontà del mio campione di osservazione in spiaggia.

Una spiaggia di quelle che si chiamano bagni, con tutti i lettini belli allineati, in cui l'età media dei frequentanti si aggira intorno ai 35 anni, perfettamente distribuita tra over 60 e under 10. Io e Il Pelliccia assolutamente in linea.

Il nocciolo della questione è che, tra un Vanity Fair, una focaccia e una spalmata protezione 50 che qui siam bianchi come i cadaveri e ci devono grattare via dal lettino alla fine della giornata, dal nostro ombrellone in terza fila come i poracci (ma che vuoi, è Agosto) ho potuto osservare la sommariamente attiva fauna che si muoveva a proprio agio nel lido, giocando a pallavolo, bevendo granita e acquistando bastoni per i selfie, e da qui la costernante constatazione: le appartenenti al gentil sesso, tutte con costume  maniacalmente abbinato. Proprio quando io, giusto l'anno scorso, ho deciso che il twin set non mi piaceva più, e quest'anno ho comprato costumi appositamente spaiati perché mi facevano più figa! Ho sbagliato? Sono domande che mi pongo. Son sembrata una sfigata?

Ma partiamo dal principio allora, e proviamo a sondare le ragioni per cui, nell'anno del signore 2015, ho dovuto ricevere questa epifania che mi ha fatto buttare all'aria tutto il mio parco costumi e ricercare il caos anziché l'ordine cosmico. La risposta a tale fatto è che boooooh, non c'è una ragione, non per me almeno, che ho sempre fatto parte del team completino, e ho sempre l'intimo abbinato se non in casi eccezionalmente rari e per necessità dettate da impellenze stilistiche non trascurabili, e voi mi fate stracontare quando dite che non abbinate mutande e reggiseno. Ma perché? Voglio dire, li trovi già in coppia, da Tezenis te li mettono sullo stand vicini, perché mai dovresti acquistare l'uno e non l'altro? E se li acquisti tutti e due, perché mai dovresti deliberatamente scegliere di indossarne uno e non l'altro, che poi li lavi un numero di volte diversi e si sbiadiscono uno più e l'altro meno e allora sì che hai una buona ragione per non metterli più insieme? E poi non è più bellino avere il completino carino e abbinato? Non vi aiuta a tener a bada la coscienza, che di nevrosi ne abbiamo già parecchie? A me sì.

Eppure niente, il costume rivoluziona le mie manie: senza una logica, mi sono convinta che lo spezzato sia la scelta giusta, così. Forse la vecchia storia del mi sono buttata addosso il primo straccetto che ho pescato dalla valigia perché non vedevo l'ora di correre in spiaggia. Peccato che eravamo io e la figlia rasta sedicenne della vicina di ombrellone. Stop. 

Allora che si fa sempre quando si ha un dubbio? Si scorre la cronologia di Bloglovin. Merda raga, una sfilza di blogger con sangallo abbinato a sangallo, geometrico abbinato a geometrico e scalloped abbinato a scalloped. Non ci potevo credere. Ma cavolo - mi sono incaponita - ce ne sarà una, una, che sostenga la mia tesi, no? Me ne basta solo una, una sulla spiaggia di Malibù con uno slip di una sfumatura leggermente diversa, con una paillette sospetta sul triangolo, una che mi faccia dire ahah!! Ecco che non sono sola!

Il problema è che l'ho trovata.

No aiutoooo, la Biasi nooooooooooo!!!

martedì 28 luglio 2015

QUANDO VACILLANO LE SICUREZZE E IN PIU' HAI UN HERPES LABIALE GROSSO COME UNA CASA

 Ciao a tutti, siamo qua, io, il mio herpes gigante e i diciottomila brufoli che continuano a spuntarmi da tutte le parti in faccia, che mi sembra di giocare al gioco della talpa, solo che questi non li posso neanche prendere a martellate, se no mi faccio male. Ma vorrei, oh se lo vorrei!

Perché i brufoli? Perché questo revival dei miei quattordici anni? Perché l'herpes ha deciso di abbandonare i miei gangli nervosi e accamparsi sul labbro, che sembro la sorella mestruata di Donatella Versace? Perché Sephora? Perché Dio? 

Oltretutto, questo mese di luglio si sta rivelando caratterizzato da una preoccupante aridità del mio lato artistico (sono un prisma). Ve lo traduco: significa che scrivo poco, e a buona ragione evidentemente, vista l'impenetrabile machiavellicità della mia produzione. 

Ma oggi, signori, come la fenice che rinasce dalle sue ceneri, io con tutti gli amici che mi porto sulla faccia torno alla ribalta per sottoporvi un'importante questione.

E faccio tanto per cominciare una * PREMESSA *, che è: ognuno ha i suoi modelli aspirazionali. I miei sono passati dalla Barbie Usignolo quando avevo sette anni alla folta schiera di bloggers, tweetstar, influencer e Snapchat addicted il cui lurkaggio occupa circa un terzo delle mie giornate, al solo scopo di a. ammirazione intensa dell'irraggiungibile b. invidia grama c. appagamento della mia inclinazione copiona.
Ne seguo più o meno attentamente una tonnellata, ma ho un debole per le compatriote, specie se snapchattano con l'accento. In realtà mi piacciono perché sono quelle che si prendono meno sul serio, sono più ironiche e più intelligenti, scrivono bene e mi fanno divertire. Lingue biforcute potrebbero forse insinuare una mia preparazione linguistica insufficiente ad apprezzare appieno i blog delle americane ma io con sufficienza mi tiro fuori da queste polemiche sterili e a senso unico.

Un giorno vi farò un post con tutte le mie blogger del cuore.

Tornando a noi, è successo che le mie beniamine, le quali sono tendenzialmente tutte ragazze super fighe con un gusto sopraffino, che grazie al signore non sono ancora abbastanza quotate da evitare di vestirsi da Zara, offrendo così terreno fertile per scopiazzature senza pudore da parte mia, stanno sbroccando per qualcosa che a me lascia personalmente, come dire. Inorridita:

I TATUAGGI TEMPORANEI.

La Zitella Acida - Sarinski
Cara Cori - Rossana di Vita su Marte

Ora ragazzi queste sono quattro di quelle fighe per davvero. Dovete credermi se ve lo dico io che critico tutto. Io mi fido di loro: perché ci prendono sempre, anticipano le tendenze, sono originali, belle, perfette. Ma allora sono io che sono nell'errore?

A me ricordano tanto quella volta (ed era il 2010 ndr) in cui io e la Sgnappa ci imbarcammo per San Pietroburgo con a testa una rondine grande come un corvo rivestita di perle e con una doppia C che pendeva dal becco sulla spalla sinistra (ve la ricordate tutti quella collezione vero?). E cioè, noi stavamo andando in Russia, fatto che di per sé sarebbe un attenuante ad errori di stile ben peggiori.

Non lo so, sono confusa. 

Cioè, ma fanno le grinze

Dai no. 

Non ce la faccio proprio. 

Mi fanno cagare. L'ho detto. Sbaglio io?

Nello stato confusionale in cui verso c'è solo una cosa da fare per ritrovare il mio equilibrio interiore, ed è stilare una dettagliata lista delle cose da mettere in valigia per i miei tre - tre - giorni di vacanza (grazie nonna, grazie zia, grazie mio nuovo adorabile direttore che mi capisci o forse cerchi semplicemente di farmi passare l'herpes che lo so anch'io che faccio scappare la gente, ma cosa vuoi che faccia, io somatizzo).

Vi ricordo che ho quindici costumi tra cui scegliere e solo uno che mi piace.

Sarà una lista molto impegnativa.






giovedì 16 luglio 2015

ESTATI MILANESI: IL FIGLIO DELLA PIZZAIOLA

Mi accingo a trascorrere un'estate interamente milanese, causa vicissitudini lavorative capitate nel periodo dell'anno meno opportuno (ma molto opportunamente per quanto riguarda la mia sanità mentale).

Inutile negarlo, sono preoccupata: l'estate a Milano è flagellata da una calamità a cui sopravvivere è difficile, specie quando l'esposizione si protrae per lunghi periodi. Sto parlando del tasso di umidità che pare di stare chiusi dentro un bollitore Alessi? Delle zanzare dai nomi esotici che si spostano in formazione e lanciano attacchi frontali? Di In Onda che prende il posto della Gruber dopo il tiggì del Chicco Mentana? Nossignori! La peggiore piaga delle estati milanesi è il figlio della pizzaiola.

Questa innocente creaturina quattrenne o giù di lì, che io non so dare un'età ai pargoli, rimasta silente nei mesi primaverili, probabilmente rinchiusa a forza in un qualche asilo comunale, nasce a nuova vita con l'avvento del caldo e delle finestre aperte. I suoi piccoli, tenerissimi polmoni, elastici e vascolarizzati, capaci e dilatati, diventano protagonisti mai abbastanza odiati dell'intero palazzo. Questo ragazzino piange, e non ogni tanto: continuamente. Piange a un volume ridicolmente alto. Piange con una convinzione disarmante. Perché cazzo piange questo bambino? Poverino, ha caldo, lo giustifica qualcuno! Ma pensa, solo lui! E occccchei, non voglio mettere di mezzo, per fare un esempio del tutto a caso, me, che con i miei trent'anni si suppone abbia imparato a reagire alla canicola in maniera leggermente più composta, ma non tanto. Ma sarà mica l'unico bambino che patisce il caldo di tutto il palazzo? Volete dirmi che gli altri li stanno conservando nelle cantine insieme ai prosciutti? Io non credo. Tant'è che il piccolo demonio in questione ha una sorellina, treenne, cinquenne, non lo so, e sta bimba non si sente mai. Giuro. A un certo punto ho creduto l'avessero impacchettata e spedita al mare dai nonni e invece no, mi sono affacciata per controllare e lei era lì, angelo mio, a bagnare le piantine della mamma sul terrazzo, colando acqua da tutte le parti ma, per l'amor di dio, zitta

Quindi, bambino dai polmoni d'acciaio, voglio capire: qual è la tua ragione? Sarà mica, azzardo, che sei semplicemente un piccolo ragazzino rompicoglioni, che quando smette per quattro secondi di piangere, attacca a chiamare la mamma tipo cinquanta volte? Ora, la tua mamma la conosco, è una brava signora, mi regalava sempre la lattina di coca quando le prendevo due pizze e adesso, con sto caldo spaziale, è pure incresciosamente incinta, e con quale coraggio si prepari ad affrontare il terzo è una cosa di cui prima o poi discuterò a quattr'occhi con lei, ma tu, bambino mio dolcissimo del mio cuore affranto, per quale stracazzo di motivo pensi sia utile strillarle cinquanta volte nel giro di un minuto "mammaguardamimammaguardamimammaguardamimammaaspettamimammaaspettamimammaaspettami". Ora, io la butto lì un po' a caso, ma secondo me la tua mamma ti sta aspettando porco il cazzo, nonostante io percepisca palpabile la sua voglia di fuggire via.

Ora. L'estate è lunga e si prospetta particolarmente afosa. Io sto sperando con tutto il cuore che i tuoi genitori pensino a spedirti una qualche settimana in Sardegna da cui l'accento dei tuoi mi dice che provieni, e dove, se siamo fortunati, hai dei nonni o degli zii che non vedono l'ora di esaudire tutti i capricci del loro vivace nipotino (e mi domando perché sia convenzione utilizzare il termine politically correct vivace quando si parla di un bambino, mentre lo sappiamo bene tutti che ci sarebbero aggettivi più adatti a descrivere taluni casi, come rompipalle, pestifero, indemoniato, insopportabile, fastidioso, importuno e detestabile). 
Ma se così non fosse, se io mi sbagliassi e tu dovessi essere condannato, insieme a me, a trascorrere il lungo agosto qui, al civico numero tre, allora io ti dico, bambino: il balcone da cui tu ami strillare è in linea d'aria esattamente sotto la finestra (aperta) del mio bagno. E io sto caricando il lavandino di gavettoni.

martedì 30 giugno 2015

PAURA DEL BUIO

Quando eravamo piccole, io e mia sorella Sgnappa avevamo una paura fottuta del buio.

Madre ci faceva filare a letto alle nove, in un rigido clima militaresco che non conosceva eccezioni se non per il Capodanno, ma poi doveva lasciarci accesa l'abat-jour, oppure la luce in corridoio.
L'abat-jour era una bambola di porcellana con un ombrellino, e capirete quanto poco questo aiutasse.

E' successo che una sera mi svegliassero i singhiozzi di mia sorella impanicata, perché l'ombra della bambola la stava facendo cagare sotto.
Io, che ho sempre avuto una zavorra di orgoglio pesantissima, mica piangevo. In compenso, mi son fatta venire i tic agli occhi.
Tenevo sotto controllo la tremarella autoconvincendomi che ci fossero gesti, scongiuri e mantra in grado di salvarmi dall'improbabile attacco dei mostri: ad esempio, le coperte erano in grado di fornire uno scudo universale contro demoni e assassini perciò, pur con una temperatura esterna equatoriale, se neanche un mezzo mignolo, un limbo di pelle, ne fosse spuntato fuori, potevo dirmi salva. La testa non valeva, per quella bastava chiudere gli occhi fortissimo.

Oppure, i piedi: è risaputo che mostri e cattivi si annidino proprio là, tra le pieghe delle lenzuola, nel buio più buio del fondo del letto, pronti a divorare il primo piede gli capiti a tiro. Io mi addormentavo con le ginocchia in gola, vincendo i crampi, e difatti ho ancora tutte le dita attaccate.

Soprattutto, era importante che mi addormentassi girata con la faccia rivolta verso il muro, dando le spalle alla porta, perché era da là che sarebbero arrivati gli attacchi. Non dalla finestra, da sotto il letto o dall'armadio come in Monsters and Co., proprio dalla porta che dava sul salotto in cui mamma e papà guardavano la tv, la cui luce arrivava soffusa, e probabilmente Freud darebbe un qualche senso a tutto questo.
Quindi io mi piazzavo sul fianco sinistro, occhi chiusissimi a un millimetro dal muro, e speravo di passare indenne la notte, una notte dopo l'altra.
Finché non arrivò un lampo di ragionevolezza, un moto di maturità che tra i nove e i dieci anni mi costrinse a un discorso molto serio con me stessa: sei una bambina grande, Gianni - mi dissi. Il tuo cervello abbondantemente irrorato e ricco di scanalature lo sa che una faccia contro il muro non ti salverà dai cattivi, per il puerile motivo che di cattivi non ce n'è, in questa stanza. Pertanto orsù, comportati da adulta e impara a girarti sull'altro fianco, mostra il tuo lato più vulnerabile alla porta!

E' con orgoglio e anche qualche commozione che ricordo il cuor di leone che ci misi nell'affrontare la prova. Notte dopo notte, sfidando le più recondite paure, mi costrinsi a dormire sul fianco destro, occhi ben stretti e cuore in tumulto finchè ecco, non mi successe niente. Ero salva ed ero capace di sfidare la porta. Ero cresciuta! Avevo conquistato la meravigliosa condizione di poter dormire sui due lati! Quella notte marciai tronfia verso il letto e l'idea arrivò come un lampo: posso dormire come mi pare. Posso girarmi a destra e a sinistra come e quando voglio, sono libera! Da che parte ho voglia di dormire oggi? Mi girai con la faccia verso il muro. Madre ci diede il bacio della buonanotte e spense le luci.
Buio.
Panico.
Non vedo la porta, potrebbe entrare chiunque da lì. Cercai di resistere, facendo forza sulla mia razionalità, ma niente. Mestamente, mi girai. Avevo imparato una grande lezione su di me: chi nasce coniglio, non può morire leone. Deve solo stare attento a cercare di non sporcarsi troppo le mutande.

mercoledì 24 giugno 2015

ODE ALLA CIABATTA

Sono indietro come la coda del cane, non c'è bisogno di ripetersi.

Qualche giorno fa, con circa un anno di scarto da tutte le peggio influencer del pianeta, sono diventata anch'io felice proprietaria e ostentatrice delle più famose ciabattazze scacciacazzi sul globo terracqueo.
Prova della mia immensa gioia, è che non riesco a smetterla di instagrammarmi i piedi.



La verità? (E' stavolta è la verità pura, lo giuro). Mi sono sempre piaciute. Mi piacevano già quando erano un affronto al buon costume, ma ho dovuto aspettare la loro consacrazione per tirar fuori il bancomat e digitare pin e tasto verde. Perché chiaramente sono una miserabile schiava della moda con una personalità piccolissima, e in tutti gli anni precedenti c'erano espadrillas, gladiators e mules da acquistare per sembrare una cogliona, ragazzi, qui non è che chiunque possa fare di testa propria eh.

Per sicurezza, ho lasciato correre un'estate, giusto per essere certa di essere l'ultima, ma proprio l'ultima, ad arrivarci, però adesso sono con gli occhi a forma di cuore e praticamente non metto altro. Giuro. Esondazioni, maremoti e altre calamità tipo i matrimoni non mi separeranno dalle mie ciabattazze, mai.

Comunque, visto che sto blog una qualche utilità ce la vorrà pur avere, che se volevo incensarmi per gli oculati acquisti che faccio potevo anche tenere un diario col lucchetto sotto il materasso o chiamare la Sgnappa, di seguito alcune informazioni utili che vi convinceranno che in the end la ciabattazza is always una good idea:

- Comodità. Giusto? Sbagliato! quante volte devo dirvelo che una cosa figa non ha da essere comoda? Che noi della comodità ce ne freghiamo? Certo, sulle Birkenstock una qualche aspettativa ce l'avevo anch'io ma di fatto, no. Almeno il mio modello, che si chiama Arizona, no. Nel senso che me le perdo da tutte le parti e il rischio il piede nella palta è giusto lì, appena scese dal marciapiede. Son sempre dietro a recuperarle.
Potevi prendere un numero più piccolo, direte voi. Ecccccerto, ma queste hanno la suola coi bordi alti, mica puoi barare, pena tallonite.

- Facilità di pronuncia. Vi dico un segreto, io ero indecisa tra le Arizona e le Gizeh, è che non sapevo come dirlo.

- Beltade. La verità è che stanno bene con tutto, tranne che coi bragoni bracaloni da Medina in fantasia, i quali parrebbero la scelta più logica e invece no, fanno subito centro sociale. Lo so perché ci ho provato e mi hanno chiesto indicazioni per il Conchetta.

- Empatia coi boyfriend jeans. Vestitini sì, full skirt sì, pantaloni sì, ma il meglio di loro lo danno coi boyfriend. E La Gianni loves boyfriends che fanno tanto mollatemi che non c'avevo sbatti stamattina e invece col cazzo, ci ho messo tre ore davanti all'armadio e alla fine ho messo di nuovo i boyfriend jeans perché non ho culo e mia stanno da dio e me li posso permettere, ciao neh.

- Instagrammabilità. Ma solo se hai la pedicure fatta bene, tipo me con un discreto fucsia che col nero è la morte sua proprio.

- Resistenza agli elementi. Fondamentale ragazze che come me siete arrivate in ritardo, se ci va bene abbiamo al massimo quest'anno per metterle prima di relegarle al ruolo di scarpacce da imbiancatura - come se io imbiancassi, poi. Quindi è necessario che siano sfruttabili col sole e con la pioggia. Arsura e umidità. Mare e montagna. Terriccio e asfalto bollente. Mettiamole ovunque che la vita è breve ma, si sa, la moda ancora di più

venerdì 19 giugno 2015

VORREI MA NON POSSO SWIMWEAR EDITION

Come era logico, sto in fissa con i costumi da bagno.

Logico perché, vista la mia deprecabile abitudine a cambiare lavoro a luglio, quest'anno il mare lo vedrò solo nelle simpatiche foto che avrete cura di pubblicare in abbondanza su Facebook.
Il mese di giugno, inoltre, non si smentisce mai, e dopo averci fatto penare con tassi d'umidità da Boa constrictor e temperature da forno a legna, in occasione della riapertura delle piscine all'aperto ci ha premiato con un filotto di giornate piovose e termometro in picchiata. Grazie amico.

Comunque, meglio così, perché quest'anno il mio parco costumi delude e, se da qualche parte brilla una stella solitaria (vedi il mio tesssssoro di Triangl), per il resto la solita vecchia presa di coscienza tardiva, del tipo: perché mai, col mio color di pelle muffito, dovrei avere costumi rosa pallido? Gli slip coi laccetti, ma davvero? Chi ha introdotto nel mio armadio queste buffe fasce coi volant?

Il mondo là fuori invece vive e prospera pieno di costumi da bagno splendidi, meravigliosi, così profondamente irraggiungibili, valevoli di svariati euro, che starebbero tanto bene su una proiezione di me (tonica e abbronzata) mollemente adagiata sotto le fresche frasche di una qualche palma piantata in un luogo remoto e blu:

- il bikini anni '50: non una novità di quest'anno, di certo. Un tantino troppo hipster per essere indossato veramente, ma qui siamo nel fantastico mondo dell'immaginazione perciò lasciatemi dire. Solo per le strafottenti dell'abbronzatura che, se vi riesce, non perdona.

Oysho - Topshop - Topshop


- il bikini in neoprene: perché le dipendenze si auto alimentano e Triangl batte chiodo con una collezione a do ra bi le. La sensazione di stare compressa dentro mutande di ghisa passa abbondantemente in secondo piano davanti alla sovraespoizione di colori fluo.
N.B. Se vi piacciono i costumi ma vi stanno antipatiche le spese di sdoganamento, H&M e Oysho copiano alla grande.

Tutto Triangl

- il costume intero: only the brave proprio. Only quelle che l'abbronzatura gli fa schifo. Only per la protezione 50.

Topshop - Topshop - Oysho

sabato 6 giugno 2015

E POI FU IL FISCHIETTO

C'era una volta, tanto tempo fa, una fanciulla che odiava gli sport, specialmente gli sport da maschio.
Non le piacevano gli stadi, la sola vista di un pallone la faceva sbadigliare, non capiva nulla di punteggi e classifiche e nemmeno trovava sollievo nell'ammirazione di muscoli guizzanti sotto magliette sudaticce e sintetiche. Chi di voi donzelle ha deciso che c'era del fascino negli sportivi, oltre ai polpacci depilati e a fascette per capelli di dubbio gusto? Lei odiava tutto questo.

E poi, un giorno, fu il fischietto.

Se vogliamo essere del tutto onesti e cronologicamente coerenti, in principio fu Il Pelliccia: non importa quanti discorsi ispirati si facciano da single sulla salvaguardia della propria personalità di ferro, arriva sempre il momento in cui si comincia a frequentare una persona interessante e questa ti propone l'uscita da spavento. Gli amici puntano discrete somme dando fiducia alla tua integrità morale, certi che mai mai mai e poi mai acconsentirai a sorbirti il concerto gospel del coro parrocchiale diretto dalla cara zia Caterina. E poi tu dici sì.

Per compiacere Il Pelliccia, nei primi mesi della nostra relazione io sono andata a mostre fotografiche, ho letto tutto Q di Luther Blisset e fatto finta mi fosse piaciuto, e sono andata a vedere una partita di basket.

Tutto ciò succedeva cinque anni fa, e io del basket sapevo che i giocatori erano molto alti, da qualche parte c'erano due canestri e una palla da infilarci dentro. Le uniche partite che avevo all'attivo erano quelle giocate da mio cugino a sei anni nei pulcini della polisportiva.

Sarà stato il caso, o sarà forse stato Il Pelliccia che è un maledetto volpone, la partita galeotta era Olimpia Milano vs Pallacanestro Cantù, cioè il derby dei derby. Come dire Rory vs Paris, la polizia vs l'FBI, i sandali alla schiava vs la ritenzione idrica. Se non ho reso l'idea, significa sangue sul parquet. Significa il Forum pieno che scoppia, i cori, gli striscioni, l'adrenalina a fette, una selva di maglie rosse e l'esaltante sensazione di star vivendo un momento importantissimissimo. Che se non è ora non sarà mai più. Che vincere è la cosa più importante, la più importante in assoluto che ci sia al mondo, e chissenefrega se ci sono guerre, catastrofi ambientali, le tasse da pagare, a me hanno messo in mano un fischietto. Tutti intorno a me hanno un fischietto, undicimila persone armate

Il fischietto è stato il mio anello di fidanzamento col basket. Ho fischiato Cantù con tutti i miei polmoni e lì ho imparato la prima lezione importante dalla mia rinascita sportiva: dovevo saltare. Se non salti, si tacciabile come canturino, e questo a me non sarebbe mai dovuto accadere. Non finché fossi stata dotata di fischietto almeno.

Da quella partita in poi è stato vero amore, tra me e Il Pelliccia e anche tra me e l'Olimpia. Ho imparato lezioni di vita fondamentali e utilissime, ad esempio:

- se sei grosso, devi sfruttare i tuoi chili e la tua altezza sotto canestro;
- penetrare può avere un'accezione sportiva de tutto lecita;
- la palla ha bisogno di circolare, come me quando temporeggio in rotonda;
- esistono parole fighissime che non sapevo facessero parte della lingua italiana, tipo minutaggio, che ora uso continuamente e con spocchia.

Soprattutto, ho imparato i cori, e non ho nessuna paura ad usarli. Canto in curva e urlo merdeeee come non ci fosse un domani, mentre Il Pelliccia mi guarda sconsolato, domandandosi come sia stato possibile che la sua dolce bambolina venisse rimpiazzata con un ultrà incazzato.

Continuo a non capirci un cazzo di basket, tipo io i falli di passi non li vedo mai. Mi distraggo proprio mentre fischiano il tecnico e per non sbagliare grido buuuu all'arbitro. Soprattutto, come la migliore delle supplenti occhialute elementari, premio l'impegno: sei una pippa e l'intero forum urla all'allenatore tiralo fuooooriiii? Io mi dispiaccio, e forse diventi il mio preferito per un po'. Però ti devi impegnare eh. In compenso, sono spietata con gli avversari: inspiegabilmente, pare che tutte le loro mamme pratichino una professione disdicevole. Più passa il tempo, e più si allunga la lista di città in cui non vorrei mai più metter piede, tanto che comincio a paventare un futuro di vacanze spese a fare selfie davanti al Castello Sforzesco e prendere la tintarella all'idroscalo.

Il 28 giugno dell'anno scorso l'Olimpia ha vinto lo scudetto e io non mi sentivo così emozionata dal Natale del '97, quando ho scartato la Barbie Usignolo.

Adesso ci risiamo: vincere, perdere, vincere, subire tanti canestri e poi recuperarli, i gruppi su Facebook, i tweet dedicati, la mia maglia rossa, la diretta su Rai Sport, il tifo il tifo il tifo, il crepacuore, i vola Olimpia vola e poi il tifo il tifo e il tifo. E uscirne con una nuova, inestirpabile convinzione: Sassari, ridente città in quel della Sardegna, tu con i tuoi simpatici nuraghi con me hai chiuso, perché io, quel pugno in pancia a Cerella, finché avrò vita e fiato per il mio fischetto non lo dimenticherò mai mai mai.

giovedì 28 maggio 2015

COME BLOGGER FACCIO SCHIFO

Ma veramente son passate due settimane dall'ultima volta che ho scritto? Incredibile come passa il tempo quando ci si diverte...

Peccato che io non sia sfuggente perché presa in folli divertimenti, ma piuttosto presa in folli rotture di coglioni, va beh. La verità è che avrei pure potuto scrivere qualcosa, ma non mi è proprio venuto di pensarci. D'altronde, che vi devo dire? Del cambio di stagione abbiamo già parlato, che non ci sono più le mezze stagioni lo abbiamo detto, i trend di stagione li possiamo giusto commentare dalla lunga distanza perché, strano ma vero, anche questo mese siamo presi con le bombe. Non è mica sempre facile trovare minchiate di cui scrivere. Neanche cose serie.

Ma oggi sono a casa e sono molto felice perché delle cose stanno succedendo, c'è il sole e vivo in un bel posto, ma soprattutto delle cose stanno succedendo, e anche se non ne parleremo - non qui, non ora - tutto ciò mi fa venire voglia di scrivere, prima di mollare il letto e andare a prendermi un gelato da Artico, ignorando graziosamente le ottantadue tonnellate di magliette da stirare. 

Sono in fissa col gelato. No, veramente sono in fissa col mangiare, sarà la primavera? Ho fame sempre, anche quando ho appena finito di mangiare. Per evitare di esagerare e mantenere un regime alimentare corretto ieri ho comprato tre chili di caramelle gommose e no, non è un'esagerazione, stavolta mi dovete prendere alla lettera, sono un chilo di banane, un chilo di liquirizie ripiene, un chilo di marshmallow e degli ovetti di cioccolato per il Pelliccia. Nei barattoli in cucina stanno che sono una bomba, peccato che durino poco. 


Il Pappagallo fa la guardia ma non mi può fermare.

Il Pelliccia ha comprato degli yogurt con dei gusti fighissimi, tipo Pere&Camomilla, Mela Verde, Miele&Melissa.

Oggi sono andata al parco a correre in pantaloncini e ho rischiato di accecare le genti, ma come si fa a prendere il sole a Milano prima della chiusura delle scuole e la conseguente apertura dell'Argelati? Una volta andavo in bici sulla Martesana, ma poi una volta è successo che un tipo brasiliano con la chitarra mi ha tirato una pezza lunga tutto un pomeriggio e io volevo solo leggere perciò adesso non ci vado più. Il tipo era brasiliano e aveva una chitarra ma era molto basso e cicciottello, n.d.r.
Nel weekend la gente si mette in costume tipo al Parco Sempione, o ai Giardini, io al massimo pantaloni con l'elastico che tiro su fino al ginocchio. No, in costume in Sempione non ce la faccio, giuro. Ci sono troppe ragazzine, e a me fanno paura le ragazzine, più degli uomini o delle coetanee o delle vecchie. Le ragazzine ti giudicano e sono stronze, me lo ricordo bene io, quindici anni fa.

Comunque, di sti giorni davanti al Castello c'è una roba chiamata Gelato Festival, se mi volete male allora ditelo. Niente, io ci vado, perché fanno un gusto speciale che si chiama Nutella IceCream. Lapalissiano, mi pare.

Insomma, non avevo niente da dirvi e mi sembra palese, ma intanto ci siamo salutati, e poi si è fatta quasi ora di vedere Amici, perciò ciao ragazzi, prometto qualcosa di più interessante nelle prossime sere, anche se per il momento di più interessante del Nutella IceCream non mi viene in mente proprio nulla.
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