domenica 28 settembre 2014

DI SELFIE E DI DISAGI

I selfie piacciono a tutti tutti tutti, e quelli che dicono di no è perché sono cessi e nei selfie escono male.

Intanto, chiariamo subito le cose: si dice IL selfie e non LA selfie, e non l'ho deciso io, l'ha detto wikipedia. Vuoi metterti a contraddire wikipedia? Io non credo.

Comunque dicevamo, a tutti piacciono i selfie, poi c'è chi è nato fortunato e viene sempre bene, e chi purtroppo deve spararsi quaranta scatti di fila e perdere l'ultima metro prima dello sciopero per tirarne fuori uno che, una volta messi diciotto filtri vintage, abbassata la luminosità, aumentate le ombre e soprattutto inserito il tilt-shift, possa essere vagamente pubblicabile.
Io, da nasona aspirante bidimensionale, sono tra queste folte schiere. Vi svelo un segreto, riconoscete una nasona dai selfie che pubblica, sono tutti così:

Mozzatele la teeeeeeesta!

O così:

Telefono davanti al naso, il trucco più vecchio del mondo.
Quando cominciano a nascondersi dietro ai gatti, o abbiamo un grosso problema di autostima, o il livello di cessezza è veramente senza ritorno.

Comunque il problema della disparità selfica si palesa in tutta la sua discriminante crudeltà quando una nasona (o una dentona, una brufolona, insomma, una selfie-repellente) è invitata ad un evento con un certo grado di spessore sociale. Tipo un aperitivo, un compleanno, una festa di Natale. Eventi che notoriamente stimolano ad una grossa produzione di selfie selvaggio da parte delle selfie-compiaciute, ovvero le amiche fighe delle selfie-repellente. Che lì ragazzi l'amicizia non c'entra, non è che lo fanno per cattiveria. E' che tu rovini il selfie. Lo abbiamo imparato alle medie che a stare con le amiche carine si sembra più carine tutte, e ad accompagnarsi alle cesse agli occhi dell'universo maschio ci si incessisce. Teorema applicabile anche ai selfie, nonostante il target di riferimento con gli anni sia cambiato, e ce ne si sbatte di piacere ai maschietti, quello che interessa a noi è il like delle donne, specialmente delle donne fighe.

Comunque, questo post è di disagio e parla dell'infinità desolazione del sentirsi escluse dall'universo selfie. Io vi comprendo, però poverina. Il mese scorso, quando mi sono licenziata, i miei (ormai ex) colleghi hanno organizzato una festa d'addio alle Fonderie Milanesi. Posto figo. Una festa d'addio PER ME. Con tanto di dress code tutti in black and white che era una figata. Con la torta personalizzata alla Buddy Valastro ma molto più buona fatta dalle mani d'oro della mia ex collega Momi (che già che ci siamo ne approfitto e vi spammo la pagina Facebook, è bravissima, se avete da festeggiare e volete qualcosa di bello e anche buono andate qui). Insomma una figata. Beh io non ci sono neanche in una foto. Alla MIA festa. Con ottomila foto della serata sparse su ottomila social network, io, come se non fossi mai stata invitata. Ed era la mia festa! Non è una storia triste? 

L'unica che mi capisce davvero su quest tema è la mia amica Yangwawa, con cui condivido una desolante sorte di naso. Lei in realtà è uno di quei casi ancora più disperati che non sono letteralmente in grado di produrre un selfie uno che non sia sfuocato. E infatti noi ci avevamo anche provato a produrre una testimonianza della nostra partecipazione, alla festa. Ma è venuta sfuocata, non si vede un cazzo! E allora crepa (crèpa, alla milanese capito?). Mentre gli altri si flashano di selfie cosa facciamo noi, le grandi assenti? Limoniamo coi nostri compagni? Ovviamente no, invece beviamo e ci imbuzziamo di torta. Che se ci pensi forse quella delle nostre amiche veramente non è cattiveria;  viste le condizioni, mi verrebbe piuttosto da chiamarla pietà.

domenica 21 settembre 2014

IL FIDANZATO CHE NON VORREI

Sono molto felice che il mio post di qualche giorno fa sulla camera a gas che a volte viene scambiata per amore abbia trovato felice riscontro in così tanti di voi, e grazie a tutti quelli che, su variegati social, mi hanno fatto sapere la loro giuoia e partecipazione al mio tripudio di felicità con-pelliccico. Siete molto carini e teneri.

A pensarci su, credo che alla base di quel post ci fosse una sorta di delirio di onnipotenza egoistica allargata, la cui traduzione è: tutti noi (intesi molto modestamente come l'intero genere umano) abbiamo il sacrosanto diritto di trovare una persona e una storia d'amore in cui essere felici senza spaccarci il culo. Il perché è perché ce lo meritiamo perché sì. Punto.

Invece nell'ultimo periodo tra le persone che mi stanno vicine è preoccupantemente aumentato il numero di quelle che, per un motivo o per l'altro, si trovano a sbattersi in storie d'amore difficili come l'esame di Biochimica del terzo anno come fossero pesci presi nella rete. Brutto. Molta empatia con alcuni di loro perché è vero che a volte la vita è bastarda, e non puoi o non riesci semplicemente a dire ciao. A volte proprio non si può. Dispatia senza ritorno con tanti altri, a cui invece basterebbe un briciolo di amor proprio per levarsi di torno e andare a pescare in un altro lago, accettando serenamente l'idea che, per quanto vi sia piaciuta la trota, forse col luccio vi trovereste meglio. Siamo prodighi di figure retoriche di livello oggi.
A tutti loro vorrei dire che nel farsi male deliberatamente non c'è onore ma solo stupidità, perciò datevi una mossa e andate a prendervi quello che vi meritate. (Alba gu brath, aggiungerei anche a questo punto brandendo la spada).

Molti di voi penseranno che è facile parlare da privilegiata, e io dico sì, è facile, sono fortunata e non passa giorno che io non mi stupisca di quanto io lo sia. E non solo perché ho trovato una persona che con me sta bene e con cui stare bene, ma anche perché Il Pelliccia ed io non abbiamo onestamente un pensiero al mondo. La nostra storia è protetta su ogni lato dagli spigoli della vita.

Però un po' di merito me lo voglio prendere lo stesso, e allora vi dico che Il Pelliccia non è semplicemente capitato per caso: Il Pelliccia è frutto di una sistematica e precisa analisi di mercato. Avevo 24 anni e sono sempre stata abbastanza razionale. In 24 anni pre-pelliccichi, le mie storie e storielle, importanti e non, mi avevano permesso di disegnare un quadro abbastanza dettagliato, se non delle caratteristiche che cercavo in un uomo, quanto meno di quelle che MAI e poi MAI avrei voluto ritrovarmi tra i piedi. Perciò, giusto per abbassare il tono serio degli ultimi post e rassicurarvi sul fatto che questo blog resta e resterà la fucina di cazzate che ben conoscete, ecco la Gianni-lista dei fidanzati che nemmeno se te li regalano, aka piuttosto mi barrico in casa a guardare otto stagioni di Ballando con le stelle di fila:

_IL FIDANZATO CALCIOFILO: e lo so, mi piace puntare in alto, andare alla ricerca della specie in via d'estinzione. D'altronde io sono la ragazza media, a cui il calcio fa cagare, epperò ho pretese d'eccellenza e mai mai mai nella vita potrei tollerare il fidanzato medio che la domenica pomeriggio o boh, quando quelli giocano, si avvita col culo al divano e non lo schiodi più. Mai.

_IL FIDANZATO COZZA: quello che si fa TUTTO insieme. TUTTO. Anche andare a farsi togliere il callo sull'alluce, anche -mio dio- a scegliere la macchina nuova, il computer o il trapano avvitatore. Tu. Non mi avrai mai. Io ho bisogno di un uomo che se ne vada in palestra due sere a settimana e mi lasci a casa da sola. A stirare, sì. Davanti a Grey's Anatomy.

_IL FIDANZATO CON LA LUPARA: quello che è geloso come se avesse tra le mani Charlize Theron. Già dato, grazie. Il siparietto del "quello lì, perché ti guardava?" era imbarazzante a sedici anni, adesso è veramente cretino. Quello che mi verrebbe da fare è da scoppiargli a ridere in faccia e con una mano sul cuore dirgli amore mio, me lo dico da sola, ma chimmicaga?

_IL FIDANZATO SMOTORIZZATO: perché tutto si può accettare, tutto, ma non il fidanzato che non sa fare il parcheggio a esse. Dai, ma che uomo sei.

_IL FIDANZATO ESTETA: perché io a fare shopping ci voglio andare da sola, sola, sola, nel mio delirio voglio essere lasciata sola, oppure con mia sorella o tutt'al più con un'amica veramente ma veramente fidata. Non voglio il tuo parere, uomo, che tanto è assodato che non capisci un cazzo.

_IL FIDANZATO FONTANELLA: quello che ha una sudorazione un po' fuori dal normale. Non mi dilungo.

_IL FIDANZATO ESISTENZIALE: quello che ha in testa delle pippe colossali, quello che tu sei troppo per me, quello che ma mi ami veramente? L'equilibrio di coppia è una questione di ruoli, e nella mia coppia quella che si fa le menate sono io, non tu. Vai a piangere in un'altra valle di lacrime, non c'è posto per entrambi qui.

E ho lasciato per ultimo il campione, quello che veramente piuttosto salto la ceretta per quattro anni filati:

_I GENITORI DEL FIDANZATO: quello che ha talmente poche credenziali che anche nel nome i genitori vengono prima di lui. Quello che deve chiedere il permesso per cambiare taglio di capelli, si veste come suo padre e ha già progettato di alzare di un piano la villetta dei suoi quando deciderete di andare a vivere insieme. Quello che se non stai attenta, sua madre ti sta già ordinando le tende per il bagno.

In parole povere, il segreto non è avere fortuna, ma le idee chiare e una caparbietà d'acciaio. Andate, e trovate la vostra metà della mela.

giovedì 18 settembre 2014

#DUE CUORI/LA SCOPPIATISSIMA JO

Oggi voglio raccontarvi della mia amica, La Scoppiatissima Jo.

La Scoppiatissima Jo ed io siamo amiche dalla prima elementare, o forse da prima, ma credo di no. O forse sì. O forse no. Di sicuro, se fosse lei in questo momento quella da questa parte della tastiera, saprebbe elencarvi con precisione millimetrica anno solare, mese giorno ora e minuto del nostro primo incontro, risalente all'era in cui l'età si scriveva con una sola cifra, se sapevi scriverla. Questo perché, nonostante La Scoppiatissima Jo sia largamente nota per la sua sbadataggine leggendaria, ha una memoria acuminata per le questioni affettive, al contrario della sottoscritta, che si dimentica di festeggiare il proprio anniversario. Ok.

Quando eravamo piccole, a me e alla Scoppiatissima Jo piaceva giocare con le barbie, le canzoni di Fiorello e fare del piccolo teatro d'avanguardia, in cui generalmente madri e sorelle venivano coinvolte per recitare parti minori, come fu Mrs Brick nella toccante tragedia in tre atti "La Bella e La Bestia".
Poiché La Scoppiatissima Jo ed io siamo sempre state molto diverse, la divisione dei ruoli principali avveniva senza scontri né frustranti compromessi: lei, molto dolce, faceva la principessa, io, dotata di folto crine di cui qualche post addietro, ero perfettamente a mio agio nell'interpretare Bestie, Re Leoni e finanche Gobbi di Notre-Dame. Credo che alla base della nostra longeva amicizia ci sia proprio questa nostra incompatibilità caratteriale, perché litigarsi il vestito di Barbie Usignolo quando si hanno sette anni può compromettere anche l'affinità elettiva più elevata.

Alle scuole medie alla Scoppiatissima Jo e a me sono andate a noia le barbie e son venuti a genio i maschietti. Sull'argomento ci trovava perfettamente concordi il fatto che il mondo fosse un mare pieno di pesci da appendere all'amo, rimanevamo però schierate su fronti opposti per quanto riguardava il potenziale attrattivo delle nostre prede: a me piacevano più grandi, tabagisti, col motorino e con scatole craniche tanto desertiche da ispirare un sequel a Buzzati; a lei, viso d'angelo e amor cortese. Così mentre io zompettavo da una parte all'altra come in un negozio di caramelle, cambiando idea ogni paio di settimane, lei si struggeva dietro amori lunghi come un'edizione di San Remo quando a condurre è Pippo Baudo.
Dalle nostre dis-avventure amorose, da cui nove su dieci si usciva col cuore spezzato e una discreta dose di disillusione in più, nascevano chilometrici diari a quattro mani, che erano la versione antidiluviana di Blogger, solo, aggiornati molto più di frequente. Erano di fatto diari monotematici, in cui a vicenda ci tamburavamo la uallera sulle nostre pene d'amore insormontabili insopportabili e insopprimibili, con qualche raro fuori tema sul genere quella-lì-è-una-troia-mi-sta-sul-cazzo, e abbondante condimento di sogni sul nostro futuro. Io da grande volevo fare: l'attrice-la scrittrice-l'interprete-la scienziata-il Premio Nobel (di professione). Lei voleva fare: la stilista-la pasticcera-la designer-la pittrice-la cuoca. Indovinate cosa faccio io? Indovinate cosa fa lei? Sì, vabbè.

Poi sono stati gli anni pazzi del liceo, in cui io facevo la punk sfigata e lei si vestiva da hippie. Sono stati gli anni dei concerti, delle feste alcoliche, dei fidanzati gelosi (i miei) e stronzi (i suoi), degli amori della vita. E siamo cresciute, e siamo sempre più diverse. Io razionale, concreta, efficiente. Lei romantica, astratta, sognatrice. Tutte e due alla ricerca di un modo attraverso cui esprimerci, tutte e due in attesa di un pubblico, un gesto, un riconoscimento.

E mentre io mi laureavo in una cosa, poi andavo a farne un'altra, poi mi fidanzavo, poi convivevo, mi trasferivo e compravo portafrutta e cesti per la biancheria, e mi dimenticavo un po' che cosa mi piaceva fare, e mi sforzavo di non tradire i miei sogni da bambina (anche se sul Premio Nobel ho, come dire. Mollato il colpo), lei i suoi sogni se li portava appresso, come un fagottino sulla spalla, e li nutriva, e diventava più grande e più brava. 

Nell'Anno del Signore 2014 non è molto facile avere dei sogni da far crescere. Perché non sono in molti quelli disposti a darti una mano e a remare con te. Se vuoi fare qualcosa di bello, di TUO, beh, ti devi rimboccare le maniche e arrangiarti. E La Scoppiatissima Jo, da scoppiata qual è, si è guardata in faccia con se stessa e ha detto: so fare alcune cose e le so fare bene. Perciò vaffanculo a tutti, vaffanculo alla crisi, al lavoro che non c'è, vaffanculo ai paraculismi, alle pari opportunità, alle lauree che non pagano, ai contratti a casaccio, ai datori di lavoro in ansia, ai colleghi incontinenti, alle quote di iscrizione, agli esami che non finiscono mai. E vaffanculo anche a Monti che, non so perché, ma è un vaffanculo che non perde mai d'attualità. Insomma, fanculo a tutti. Il mio campo provo ad ararmelo da me. 

E ne è venuto fuori questo:


La Scoppiatissima Jo, con la sua manina magica. La Scoppiatissima Jo, quella che mi disegnava a mano i biglietti d'auguri, quella che alle lezioni di educazione artistica prendeva sempre ottimo, quella che si dipinge le pareti di camera sua e ci disegna alberi, soffioni e fiori. Lei ha creato questo progetto dal nulla di uno spazio vuoto, come su un foglio bianco ci ha disegnato sopra i suoi sogni per vedere se si rispecchiano nei sogni degli altri.

Io non mi ci raccapezzo molto coi matrimoni, lo sapete, ma secondo me questa è una cosa bella. Però è fragile, come un bimbo, e l'augurio che posso fare io alla Scoppiatissima Jo e al suo Hashtag è quello di crescere. Di diventare belli e forti, di colorare spazi sempre più grandi, con gli acquarelli di tutto l'amore che c'è. 

La Scoppiatissima Jo crede nell'amore, e chi crede nell'amore, secondo me, merita una chance.

P.S. Se anche non vi sposate, un giro sul sito fatelo. Davvero. Magari in uno di quei momenti neri in cui non ne potete più e, fidatevi, avete bisogno di vedere qualcosa di bello.
E se quello che vedete vi piace, andate qui a dirglielo.


lunedì 15 settembre 2014

LA CAMERA A GAS, E POI L'AMORE

Cosa ci hanno insegnato i pippozzi che ci sparavamo quando avevamo quindici anni? Niente di buono, ve lo dico io:

Jane Eyre. Si innamora di uno stronzo, sposato con una pazza che tiene nascosta nel castello. Per rendere le cose più facili, scoppia un incendio e lui diventa cieco. 

Cime tempestose. Un amore così grande che lei non ce la fa a sostenere la discrepanza di estrazione sociale con l'amato il quale, ferito nell'orgoglio, diventa uno stronzo abissale e gliela fa pagare in tutti i modi più uno finché lei non crepa, amandolo pazzamente nonostante la sua anima nera come il petrolio.

Via col Vento. Lei lo ama anche se lui ha la verve di un millepiedi. Lui la ama ma non può, e sfido a trovare una lettrice che una che abbia accettato la cosa con serenità d'animo. Poi arrivano, in ordine: guerra, carestia, malattie, gravidanze mortali, esclusione sociale, morti infantili, depressione e alcolismo. Lei ci mette novecento pagine ad accorgersi che ama un altro, proprio quando l'altro ha deciso che puppa.

L'amore ai tempi del colera. Si amano. Lei fa un lungo viaggio, poi torna, lo vede e dice: "Che schifo, ma cos'ero, impazzita?" Lui la aspetta per cinquant'un anni, nove mesi e quattro giorni. Lei, invece di denunciarlo per stalking, alla fine cede.

Sono sicura che nel leggere questi titoli ad ognuna di voi siano già balenati in mente almeno un altro paio di buoni esempi per rendere la lista sempre più tendente ad infinito.

Cosa voglio dirvi con tutto ciò? 
Ebbene, che l'inganno è globale. Siamo nati per soffrire. L'amore non è bello se non è litigarello. Ci andiamo ad infilare in storie che girano meno di un tornio arrugginito. Ci innamoriamo di persone che non fittano, il cerchio nel buco quadrato che cercavamo a forza di infilare nel giochino all'asilo. Usiamo registri linguistici inconciliabili, con lo stesso risultato che probabilmente otterrebbe la prozia Anita a colloquio con Sgarbi. Litighiamo, ci crogioliamo nel nostro senso di inadeguatezza e, in una parola, soffriamo. Soffriamo in nome dell'AMORE. Per portare avanti la nostra storia d'Amore. Perché è giusto soffrire per salvaguardare una cosa così bella, così felice, così appagante come l'Amore. Se hai l'Amore hai tutto. Se hai l'Amore non importa se litighi, non importa se ti incazzi, se rinunci, se rosichi. Puoi superare tutto, e lo devi fare, perché tu hai l'Amore. Ed a volte sembra sia un dettaglio se tu, in quell'Amore, semplicemente stai di merda. E non è colpa tua, è non è neanche colpa sua. Però tu dici A e lui dice B. Tu vedi bianco e lui vede nero. E sono le mille cose di una vita, la tua: tu sei di destra, lui di sinistra. Tu sei vegano, lei adora le pellicce. Mare o montagna. Milano o Cantù. Panettone o pandoro. Cinema o discoteca. Amici o vita di coppia. Figli o non figli. 

Felici o non felici.

Ebbene, ci si passa, prima o poi. Perché? Perché per qualche strana, insondabile ragione, si è convinti che l'amore sia sudore e sofferenza. E non voglio dar la colpa a Jane Eyre eh. Però porca puttana qualcuno dovrà pagare per tutto questo. Perché queste sono agonie che non si consumano nel giro di qualche mese. Eh no! Se l'amore è sofferenza, io voglio soffrire, e si va avanti gli anni. Tipo tre, nei casi fortunati. Tipo una vita, per i più stoici, oppure per quelli che non hanno né il coraggio né il buonsenso di dire a un certo punto "emmobbasta! Saremo pure innamorati, ci sarà del sentimento, ma cristo basta! Questo amore è una penitenza, è un sacrificio!". E allora, con gran spargimento di sangue, ci si lascia. Col cuore a pezzi, perché sì, l'Amore c'era, era tutto il resto che mancava, e questo tutto il resto ha preso l'Amore, l'ha dilaniato, l'ha fatto a pezzi, l'ha azzannato e poi ne ha sputato le ossa. Ha lasciato solo lo scheletro senza vita dell'Amore.

E poi succede che, con il sale sulle ferite, incontri qualcuno che dici A e lui dice A. Qualcuno con cui le cose vanno e vanno semplicemente. Perché è così che devono andare. E tu non devi fare niente, solo guardarlo che scorre e stupirti di quanto tutto sia facile, senza che tu debba fare niente, senza sforzi, fatica, sacrificio. Solo perché è naturale che vada così. E mentre tu continui a sorprenderti di come nulla ti richieda di risalire il fiume controcorrente, inanelli un giorno dopo l'altro, un mese dopo l'altro, un anno dopo l'altro e poi tutta la vita.

L'Amore è bello.
L'Amore è facile.

Io e Il Pelliccia stiamo insieme da cinque anni. Cinque. Anni. Viviamo insieme da tre. Abbiamo litigato, qualche volta. Qualche volta siamo stati nervosi, o non abbiamo avuto voglia di chiacchierare. Qualche volta. Tante, tantissime volte invece abbiamo riso, ci siamo coccolati, ci siamo consolati quando le giornate erano una merda e ci siamo pompati a mille quando invece erano belle notizie.

Io e Il Pelliccia abbiamo messo la tacca del quinto anno qualche giorno fa, e come al solito ci siamo dimenticati di festeggiare. Perché la felicità non si festeggia. La felicità è nostra di diritto. E non è difficile trovarla.

giovedì 11 settembre 2014

LA TRISTE STORIA DEL BRUTTO ANATROCCOLO CHE NON DIVENTO' MAI CIGNO MA TANT'E'.

Da bambina ero una piccola pupattola rubiconda e adorabile, con gambotte tornite e capelli biondi - sì, biondi. Avevo questi piedini tenerelli leggermente girati all'indentro, tant'è che i miei primi passi pare li abbia fatti un po' inciampandoci sopra, ma poi sono andati a posto da soli e ho cominciato a sgambettare come un treno. Sgambettando e sgambettando, sono arrivata felice e ignara del tragico destino all'età dei dodici circa, quando BADABAM! Ecco che la bionda e rubizza bambina coi piedini cicciotti si è trasformata in un'adolescente orribile.


 Ripensandoci ora, con lo sguardo nostalgico (ma non troppo) al passato, a volte mi domando attonita come un cumulo così ampio di sfighe e brutture abbia potuto accatastarsi su di me negli anni ormonici della pre-adoloscenza.

Io sono figlia degli anni 80, quelli di mezzo, e la mia generazione dovrebbe essere ribattezzata la generazione dell'apparecchio ai denti. Incredibile il tasso di bambini apparecchiati nelle scuole medie, in quegli anni. Io in primis, ovviamente. Una volta smessi i denti da latte, la mia bocca ha cominciato ad accessoriarsi in maniera preoccupante di zanne di due misure più grandi delle precedenti, che non fittavano in nessun modo nella mia bocca piccina picciò. Avevo denti ovunque, ragazzi. E quando dico ovunque, intendo sul palato. Sulla gengive. La schiavitù della ferraglia in bocca è durata gli anni, anni di sofferenze, di visite mensili, di abrasioni e fiacche sulle guance. E, complice l'imbecillità del mio dentista, di elastici colorati. Ora, io andavo in prima media ed ero deficiente, lo so. Ma lui mi proponeva elastichini fucsia per fissare i ganci dell'apparecchio. E quando mi andava male, arancio o gialli. Arancio. Gialli. Come se fossi sempre reduce da una merenda a base di carote. Rabbrividisco.

Poi ho dovuto mettere gli occhiali. Andando indietro di intere generazioni, credo di essere la prima della mia stirpe ad essere affetta dall'orribile miopia. E guai al primo che salta su dicendo che gli occhiali sono un accessorio fescion, perché vi assicuro che nel '92 erano solo da sfigati secchioni e orrendi. E io mi rifiutavo di metterli. Ho rifiutato stoicamente per mesi e mesi, quando poi, annichilita dai mal di testa e scottata dalle molteplici figure imbarazzanti spesso ai danni di sconosciuti, ho dovuto ammettere a me stessa che non ci vedevo una fava. E ho inforcato gli occhiali.

Non vi sto a dire che andavo a fare ginnastica correttiva perché ero lordotica e cifotica e che ho evitato il corsetto per intercessione direttamente divina perché non voglio cediate a facili pietismi.
Vi racconto dei miei capelli, invece.



 Io e i miei capelli, da quando hanno deciso di non essere più biondi, abbiamo smesso di andare d'accordo. Ormai non saprei neanche più localizzare il giusto periodo temporale in cui la mia lotta ad armi dispari contro le estensioni pilifere è iniziata. Boh. Da che ricordo, ho sempre litigato con i miei capelli. E questo perché sono degli stronzi bastardi che fanno quello che vogliono. Intanto sono secchi e con spiccata tendenza alle doppie punte. Poi sono tanti. Incredibilmente tanti. Ci ho perso un sacco di forcine, e ho sacrificato interi set di spazzole in quella selva selvaggia e aspra e forte. E poi sono mossi di quel mosso che non ha ragione di esistere, che non è riccio nè ci ricavi le beach waves. E' solo il mosso che potrebbe essere proprio del vello di certi montoni o di un chinchilla. In più, è refrattario. Il mio è un capello mosso, spesso, secco e indisponente. E' antipatico. Spezza gli elastici, sbeffeggia la piastra, piega le forcine. Gli anni e le sanguinose perdite riportate mi hanno insegnato come domare questo cavallo selvaggio a suon di olio ai 6 fiori, maschere prepotenti e soprattutto Lei, la Regina di Tutte le Piastre, Sua Altezza GHD per capelli afro, credo l'acquisto migliore della mia vita e oltre. Ma certo, a dodici anni cosa potevo saperne di styling e GHD. Niente. Ci provavo a lisciarli, sti capelli malvagi, con le piastrine e le spazzole riscaldate che Madre mi rifilava, prese con i punti dell'Esselunga. Ciaoproprio. Anni di anarchia pura on my head e di grossi rosicamenti in my liver.

In più mettiamoci che io non lo so davvero cosa avevo in testa in quegli anni (oltre ai capelli, intendo). Quel che è certo è che so perfettamente cosa avevo addosso, e vorrei dimenticare. Vorrei poter dimenticare le tute con i bottoncini sul lato della gamba, le tshirt da basket (ma perché? Io giocavo a pallavolo!), i pantajazz fucsia, quelli di velluto a costine, gli anfibi beige, le canotte della Onix, i Levi's 501, i bomber. Io riguardo certe foto e vedo le mie amiche pettinate. Con dei graziosi abiti a fiorellini e i sandali. E mi chiedo, Madre, perché tu non abbia insistito di più. Perché mi hai lasciato andare in giro come una scampata da Chernobyl.

Improvvisamente poi, furono gli anni delle scuole superiori. E incredibilmente, non so come non so perché, cominciai vagamente a migliorare. Tipo che mi levarono l'apparecchio, lasciandomi orgogliosa padrona di una dentatura importante, imperfetta, un po' sbilenca, ma quanto meno non ferragliata. Poi feci la gradita conoscenza con le mie amiche lenti a contatto, mai più abbandonate. I capelli rimasero purtroppo un capitolo dolorosamente aperto, perché la mia scuola era di sinistra. Allora io non so come funzioni adesso, ma all'epoca le scuole erano schierate: tipo che c'erano i geometri che erano di destra, mentre il liceo scientifico era di sinistra. La mia scuola stava a sinistra, senza se e senza ma, e questo voleva dire una cosa in particolare: ci si conciava di merda. Tutti volevano essere punk, anche se non si sapeva perché. I veri idoli a scuola avevano i rasta e le corde delle chitarre infilate nei lobi delle orecchie. Io ovviamente non ho mai potuto avere i rasta, nonostante li desiderassi con tutto il mio cuore punk, perché Madre mi avrebbe decapitata piuttosto che lasciarmi uscire di casa così. E invece secondo me sarebbero stati una soluzione più onorevole rispetto al cumulo di alghe che mi portavo in giro arrotolate sulla testa. Non potendo avere il mio hairstyle, mi accontentavo di vestirmi di merda. Tra i miei ricordi più felici ci sono dei collant di dubbi colori e fantasie, una gonna in ecopelle che faceva paura e, ovviamente, la kefiah presa in Porta Genova.

La parentesi punk si è chiusa repentinamente quando il mio fidanzatino dell'epoca dopo tipo 25 giorni di intensa relazione amorosa mi lasciò e io per reazione cominciai a frequentare il Celebrità. Yeah. Intanto, voi ridete, ma la mia faticosa risalita alla conquista di un aspetto estetico socialmente meno repellente è iniziata proprio lì. Ho iniziato a truccarmi. Certo, ci ho messo un po' a capire che l'azzurro e il viola non dovrebbero stare nella mia palette ma vabbè, intanto la mia rehab era cominciata. Mi sono infilata i tacchi. Insomma, ho scoperto di essere portatrice di due cromosomi X. E di avere un corpo. E una faccia. Che vabbè, forse non sono i migliori del mondo, ma ci posso lavorare su e farne uscire qualcosa di buono. A dispetto del naso, che ha continuato a crescere e crescere ben oltre il normale periodo di sviluppo, a dispetto dei miei dentoni, delle spalle che mi cadono e del culo quadrato. E a dispetto delle mie ginocchia imbarazzate, che sono rimaste leggermente imbronciate e si guardano e mi fanno star male ogni volta che da Zara mi provo gli skinny a 29,90 €. Insomma, ho imparato a prenderla così com'è, non farmi fotografare mai di profilo e fare del mio meglio con quello che ho, perché qualcosa c'è, che diamine. E la cosa meravigliosa e che, anno dopo anno, giorno dopo giorno, ho cominciato a scoprire sempre più cose che mi piacciono. Ho scoperto che ho il collo lungo e che sto bene con i capelli raccolti. Ho scoperto che ho gli occhi grandi e che la sfumatura di nocciola mi piace e che ho le ciglia lunghe, e basta poco per farle diventare superlunghe. Ho scoperto che la vita alta mi sta bene, perché i fianchi saranno anche un po' bleh, ma la vita ce l'ho sottile. Certo, ho ancora alcuni traumi da smaltire. Segretamente sogno il giorno in cui potrò mettere un apperecchio trasparente e indolore per rimettere definitivamente a posto quei denti spanati. Come ho detto, il profilo e il tre quarti mi inquietano, perché ho il mento sfuggente e mi si vede solo il naso e ho paura di assomigliare ad un uccellaccio. - La soluzione per questo è far finta di essere bidimensionale. Funziona. - D'estate in spiaggia mi porto il pantaloncino hawaiano perché non esiste che vado al bar col culo ballonzolante di fuori. Però insomma, ce la faccio. Faccio del mio meglio. Cerco di non preoccuparmi troppo del mio aspetto ma di agire con buonsenso, perché offendere la vista di chi non centra niente con le mie paturnie non mi pare carino.

Non so quanto sia ancora distante dal mio punto di equilibrio. A volte faccio degli scivoloni che mi sembra di essere sull'altalena ma poi ci ritorno, in bolla. Più o meno. Mi sparo i selfie, ma col telefono davanti al naso, così non si vede. E va tutto bene, finché qualche amico stronzo non mi tagga in una foto su Facebook dove sono di profilo e rido. Effettivamente lì un po' in menata ci vado. Per fortuna però c'è sempre l'opzione "rimuovi tag". E allora ci passo sopra.

domenica 7 settembre 2014

DEL PERCHE' NON DIVENTERO' MAI RICCA

Io non diventerò mai ricca perché ho due grossi handicap che me lo impediscono: uno si chiama Pigrizia, l'altro Imbecillità.

La Pigrizia è quella cosa per cui tutto quello che c'è da fare è un grosso sbatti, comprese azioni potenzialmente convenienti quali informarsi per cambiare un piano telefonico esorbitante per cui potrei chiamare ventidue ore al giorno e avere ancora minuti gratis oppure tornare in un negozio in cui hanno sbagliato a darti il resto. Cioè, lo sbatti. Una volta mi è successo che in cassa mi battessero due volte un maglione ma io me ne accorsi solo sulla via di casa e allora vabbè, pazienza, tanto costava solo 35 euro. (Quella volta per dir la verità avevo anche usato lo scontrino per buttare via il chewing gum, ma in realtà è stata solo un'ottima scusa per giustificarmi a non muovere il culo e tornare indietro).
La Pigrizia è anche quella cosa per cui non c'hai sbatta di informarti, chiedere preventivi, valutare le offerte o anche solo aspettare che esca qualcosa su Groupon, no, la Pigrizia ti fa aprire il portafoglio al primo che trovi sulla tua strada e sganciare ottusamente, al grido di Pago e mi diverto!, con l'encefalogramma piatto e i neuroni in vacanza.

L'Imbecillità, invece, è un'altra storia. L'Imbecillità è quella cosa che quando avevamo diciott'anni ci faceva sbagliare il numero al bancomat e ricaricavamo il telefono di un altro (è successo a tutti, non è vero?).
L'imbecillità è quella cosa che ci fa comprare due volte una cosa che avevamo già e poi ce la fa pure dimenticare nell'armadietto della palestra, così non la possiamo neanche restituire. Oppure, se l'Imbecillità si unisce alla Pigrizia, il doppione in questione rimane sulla mensola di casa vostra ad aspettare, fino a che non vi rendete conto che sono passati quei quattro-cinque mesi, e che forse i tempi  per restituirlo son tanto maturi che cominciano a puzzare.
L'imbecillità è anche quella simpatica cosa che ti fa provare empatia per le commesse, e allora compri anche se ti sta troppo grande/piccolo/lungo/stretto/di merda solo perché non vuoi dar loro un dispiacere. Mi succede davvero, giuro, ma sto tentando di controllarmi.

Dunque il succo del discorso è: se sono PIGRA e IMBECILLE e quindi chiaramente destinata alla povertà imperitura, per quale motivo dovrei trattenermi dallo spendere i quattro soldi che mi rimangono per dare misero sollievo dalla mia IMBECILLE e PIGRA vita? Di seguito una piccola selezione di oggetti indiscutibilmente utili e di ottimo gusto che avrei selezionato all'uopo:

Leggings con shorts incorporati by Oysho perché tu, Freddo, non mi fermerai.

I sacchetti di Tiger che ridono per i miei ridenti viaggi in ridenti località.

La candela dell'Artisan Parfumeur, al sentor di Traverseè du Bosphore, nuova fragranza preferita per i miei sogni avventurosi in cui sono un pirata o un mercante di spezie (sogni che facciamo tutti abitualmente, com'è ovvio).


La mascherina da notte di Oysho col muso di gatto stralunato per i miei sonni di bellezza con la Nina.
I birilli - lottatori di sumo di Muji, per le noiose serate di Ottobre. Non sono adorabili?

La lampada di Moroni Gomma a forma di orsetto decapitato, inquietante ma di grande effetto.
Da Maison du Monde hanno questa scatola porta fazzoletti che sarebbe perfetta nel mio bagno.

Dove vai se il cestino non ce l'hai, ovvero chi potrebbe fare a meno di un cestino da picnic bello come quello di Les Jiardins de la Comtesse?

mercoledì 3 settembre 2014

TU MI PIACI, SETTEMBRE

A me è sempre piaciuto Settembre. La fine dell'estate e il ritorno alla routine.
Certo, da piccola, quando si godeva per diritto di nascita a tre mesi di goduriose e soleggiate vacanze, un po' mi rodeva abbandonare campi estivi, piscine et al. per tornare sui bigi banchi di scuola, ma io sono sempre stata un po' secchiona, me ne facevo presto una ragione. Specialmente perchè la delusione dei giochi finiti veniva presto soppiantata dall'estrema goduria di scegliersi il diario nuovo, i quaderni, le penne e, negli anni d'abbondanza, perfino la cartella. Che bello il giorno in cui mi liberai dello zaino Invicta rosso e blu per un molto più fashion North Face! Già da allora, nei teneri anni dell'infanzia, si poteva notare la mia tendenza al consumismo becero, per cui l'acquisto di temperini rosa e matitine in ordine cromatico poteva farmi serenamente rinunciare al prezioso tempo libero nei parchi d'estate.

Col passare degli anni, la mia infatuazione per Settembre è andata gradatamente aumentando e arricchendosi di nuove motivazioni tra le più variegate, fra cui annoveriamo:

  • il ritorno alla copertina. Copertina sul divano e copertina sul letto. Babbucce pelose, calzette antiscivolo e, soprattutto, il rituale della tisana nella tazza del coffee-to-go.
  • l'abbandono della competizione per l'abbronzatura più bruna ed il graduale ritorno ad un più urbano color zola, che meglio si confà alla mia pelle diafana.
  • l'uva.
  • la progressiva recessione del guardaroba estivo, sbracciato e sfacciato, in favore di più motivanti look autunnali.
  • l'avvento di nuovi film belli al cinema e nuovi telefilm babbei in TV.
  • il ritorno della Gruber e di Mentana (va beh).
  • il Natale dietro l'angolo, e bisogna cominciare a buttar giù abbozzi di wish list.
  • last but not least, le case di mode che fomentano nuove ossessioni.
 Avete già dato un'occhiata alle collezioni FW per questo pazzo pazzo 2014-15? Io sì. Ho cominciato a luglio, a dire il vero. Di conseguenza, ho già virtualmente speso i miei nuovi stipendi e sappiamo bene che, in certe occasioni, tra il dire e il fare passa veramente poco. Di solito, i cinque numeri di un pin.



Il mio shopping virtuale inizia su ASOS, tra le cui meraviglie sceglierei l'adorabile kimono ricamato lungo fino ai piedi. Ma per andare dove?!, mi urlano dalla regia (alias l'emisfero sinistro del mio cervello, ndr). Boh, però mi piace e poi sto leggendo un libro sui samurai, non posso non avere un kimono. Sì, mi sembra ragionevole.

Una volta rotto così tanto il ghiaccio, mi ci vorrebbe davvero poco a tirar su la bici ed approdare in San Babila. Lì, comincerei affacciandomi in via della Spiga, ma appena appena, giusto per entrare da Kurt Geiger ed appropriarmi di queste fantastiche slip on da russa ubriaca su cui ho messo gli occhi da oltre un mese:



Visto che Cos è giusto lì a due passi, ci farei un salto per provarmi un vecchio amore, che dà i brividi a molte ma a me continua a piacere dal '99 senza smettere mai: la temibile GONNA PANTALONE.

Innocua davanti...
... letale dietro!

Con la scusa di un gelato da Krem, mi allungherei su Vittorio Emanuele e da Massimo Dutti, brand che ho sempre malcagato fino a che non ne hanno parlato qui, e ho scoperto che hanno dei cappotti meravigliosi a prezzi abbastanza affordabili. E allora mi comprerei il cappotto nero che era nei miei piani l'anno scorso prima che il fato mi facesse imbattere in un sobrio pied de poul gigante.


Da lì sarebbe un attimo arrivare fino ad &otherstories ed ingrassare la mia nuova fissa per le midiskirt appropriandomi di questa:

colore divino + lunghezza perfetta = ti amo

A quel punto, ormai sopraffatta dai sacchetti (ma sempre con un aplomb degno di Julia), non vedo perché non dovrei allungarmi in via Manzoni, dove da TwinSet ho visto questo adorabile abito sottoveste che nella mia mente sto già indossando con un maxi cardigan a magli grosse. Fa niente se poi ho freddo.


Ora, io mi chiedo cosa mai mi stia trattenendo qui sul divano. L'affitto da pagare, può essere.

lunedì 1 settembre 2014

REMINESCENZE VACANZIFERE: IL VICINO DI OMBRELLONE MOLESTO.

Habemus computer, ragazzi! Siamo andati ad adottarlo io e il Pelliccia, munito di bici con ruota bucata per il trasporto, sabato pomeriggio.

Tutto bene, se vogliamo tralasciare un piccolo incidente di percorso occorso ieri pomeriggio, quando, a due ore scarse dalla prima accensione, mi sono ritrovata Google Chrome spodestato da un motore di ricerca dagli accenni vagamente soft porno, scaricato in chissà quale maniera mentre tentavo di istallare Picasa (che, tra parentesi, non so nemmeno usare troppo bene). Per fortuna, mentre io frignavo, il salvifico intervento del Pelliccia e di Salvatore Aranzulla ha riportato la situa alle originarie condizioni. Ho capito che Salvatore Aranzulla è la mia boa quando il mare dell'informatica (questa sconosciuta) si fa burrascoso, il che succede tipo ogni quattordici-quindici ore (grazie Salvo!).

Comunque. Tutto è bene quel che finisce bene, io e il mio attrezzo siamo di nuovo operativi.
Nel mentre che trusciavo col mio nuovo arnese, mi sono capitate sott'occhio le foto delle neofinite vacanze del Pelliccia e mie. Se non ve l'ho detto, quest'anno siamo andati in Toscana: mare cristallino, grandi abbuffate, tendiniti per raggiungere la spiaggia. Tutto molto bello. Senonché, riguardando le paciose immagini rubate a zonzo per l'Argentario, ho cominciato a riflettere su uno dei massimi dolori che mi affligge nel periodo estivo, dolore che tanto più si acutizza nel momento in cui si decide di andare a spendere le nostre vacations nei soleggiati lidi italiani.
Pertanto, nonostante nessuno di voi l'abbia chiesto e probabilmente nessuno ci tenga particolarmente, ho deciso di inaugurare il mio nuovo mezzo condividendo con tutti voi il Gianni-pensiero sulla piaga delle spiagge italiane, ovvero il vicino di ombrellone.
Premetto che io, come penso tanti di voi, in vacanza sono esattamente uguale a quello che sono nella vita di tutti i giorni, ovvero antipatica, altezzosa e solitaria. Ergo, le uniche attività che concepisco in spiaggia sono:
prendere il sole
leggere
mangiare focacce bisunte
spararmi i selfie da sdraiata che sembro più magra.
Tutto ciò nella cristallina bolla di solitudine in cui rientriamo io, il Pelliccia e la crema solare protezione 30. Al massimo qualche amico di vecchia data, se ne capita l'occasione. Stop. Non sono in spiaggia per far conversazione. Non sto cercando consigli su dove andare a cena. Non voglio nemmeno sfidarti a Quiz Cross, noi si gioca solo con gli avversari a caso in modalità blitz.
Invece pare che la spiaggia, con i suoi quaranta gradi all'ombra e la sete primordiale, istighi alla conversazione coatta. La gente ha voglia di parlare con dei perfetti sconosciuti e non c'è verso alcuno che desista. Tu avrai pure il libro davanti agli occhi, gli auricolari nelle orecchie, questi niente, pretendono risposte. Incredibile. E se anche tu sei così stoico da fargli gettare la spugna dopo interi quarti d'ora di risposte monosillabiche, in cui viene testata la resistenza mentale delle due parti, non ti potrai sottrarre alla conversazione che il Vicino di Ombrellone Molesto instaurerà istantaneamente con gli altri malcapitati degli ombrelloni adiacenti.
Dopo anni di attenta analisi, ho costatato che i trend di queste conversazioni forzate sono sempre più o meno gli stessi:
il Vicino di Ombrellone Molesto (da qui in poi VOM per semplicità) è generalmente autoctono.
Pur tuttavia, ha passato dai due ai cinque anni a Milano, poi però è scappato perché i ritmi erano troppo stressanti. A questo punto mi verrebbe sempre voglia di far notare che sì, noi a Milano si corre, pertanto quando si arriva ai dieci giorni di ferie di Agosto si ha voglia di riposare. Soprattutto le orecchie.
In ogni caso anche il luogo di villeggiatura di cui il VOM è originario non è più quello di una volta: colpa dei troppi turisti, ma certamente anche del sindaco. Non si sa bene perché, ma il sindaco c'entra sempre.
Comunque ci sono sempre spiagge migliori dall'altra parte del promontorio. Questa è carina, sì, ma un po' troppo affollata/assolata/rumorosa.
Il VOM vive qui tutto l'anno tutti gli anni, perciò consce tutto ed è prodigo di buoni consigli. Tutto quello che avete fatto/visitato/mangiato finora è una merda. Solo lui conosce i posti buoni.
A questo punto della conversazione, il VOM si sente di essere ormai abbastanza in confidenza e attacca con i veri discorsi cicciosi da ombrellone, ovvero clima e politica.
Sul clima espone considerazioni piuttosto generali: sì, questo è stato un anno buono. No, quest'estate ha piovuto tanto, la spiaggia non ce la siamo goduta, speriamo che ce la faccia buona adesso fino a fine stagione.
Infine, ormai forte delle sue capacità oratorie, il VOM attacca i pipponi sulla politica, dapprima locale (vedi il sindaco, che fa mettere multe a mazzi se porti i cani in spiaggia e poi c'è gente che sporca molto più del mio cane con cui mi fa più schifo fare il bagno), fino ad approdare al livello nazionale, quindi tasse (dove andremo a finire) e immigrati (che vengono qui a rubare il lavoro ai nostri figli ed è tutta colpa di Renzi ma anche di quei porci che ci han mangiato prima). Quando il VOM comincia a nominare Mare Nostrum, è ora e tempo di andarsi a fare un bagno.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...