C'era una volta, tanto tempo fa, una fanciulla che odiava gli sport, specialmente gli sport da maschio.
Non le piacevano gli stadi, la sola vista di un pallone la faceva sbadigliare, non capiva nulla di punteggi e classifiche e nemmeno trovava sollievo nell'ammirazione di muscoli guizzanti sotto magliette sudaticce e sintetiche. Chi di voi donzelle ha deciso che c'era del fascino negli sportivi, oltre ai polpacci depilati e a fascette per capelli di dubbio gusto? Lei odiava tutto questo.
E poi, un giorno, fu il fischietto.
Se vogliamo essere del tutto onesti e cronologicamente coerenti, in principio fu Il Pelliccia: non importa quanti discorsi ispirati si facciano da single sulla salvaguardia della propria personalità di ferro, arriva sempre il momento in cui si comincia a frequentare una persona interessante e questa ti propone l'uscita da spavento. Gli amici puntano discrete somme dando fiducia alla tua integrità morale, certi che mai mai mai e poi mai acconsentirai a sorbirti il concerto gospel del coro parrocchiale diretto dalla cara zia Caterina. E poi tu dici sì.
Per compiacere Il Pelliccia, nei primi mesi della nostra relazione io sono andata a mostre fotografiche, ho letto tutto Q di Luther Blisset e fatto finta mi fosse piaciuto, e sono andata a vedere una partita di basket.
Tutto ciò succedeva cinque anni fa, e io del basket sapevo che i giocatori erano molto alti, da qualche parte c'erano due canestri e una palla da infilarci dentro. Le uniche partite che avevo all'attivo erano quelle giocate da mio cugino a sei anni nei pulcini della polisportiva.
Sarà stato il caso, o sarà forse stato Il Pelliccia che è un maledetto volpone, la partita galeotta era Olimpia Milano vs Pallacanestro Cantù, cioè il derby dei derby. Come dire Rory vs Paris, la polizia vs l'FBI, i sandali alla schiava vs la ritenzione idrica. Se non ho reso l'idea, significa sangue sul parquet. Significa il Forum pieno che scoppia, i cori, gli striscioni, l'adrenalina a fette, una selva di maglie rosse e l'esaltante sensazione di star vivendo un momento importantissimissimo. Che se non è ora non sarà mai più. Che vincere è la cosa più importante, la più importante in assoluto che ci sia al mondo, e chissenefrega se ci sono guerre, catastrofi ambientali, le tasse da pagare, a me hanno messo in mano un fischietto. Tutti intorno a me hanno un fischietto, undicimila persone armate.
Il fischietto è stato il mio anello di fidanzamento col basket. Ho fischiato Cantù con tutti i miei polmoni e lì ho imparato la prima lezione importante dalla mia rinascita sportiva: dovevo saltare. Se non salti, si tacciabile come canturino, e questo a me non sarebbe mai dovuto accadere. Non finché fossi stata dotata di fischietto almeno.
Da quella partita in poi è stato vero amore, tra me e Il Pelliccia e anche tra me e l'Olimpia. Ho imparato lezioni di vita fondamentali e utilissime, ad esempio:
- se sei grosso, devi sfruttare i tuoi chili e la tua altezza sotto canestro;
- penetrare può avere un'accezione sportiva de tutto lecita;
- la palla ha bisogno di circolare, come me quando temporeggio in rotonda;
- esistono parole fighissime che non sapevo facessero parte della lingua italiana, tipo minutaggio, che ora uso continuamente e con spocchia.
Soprattutto, ho imparato i cori, e non ho nessuna paura ad usarli. Canto in curva e urlo merdeeee come non ci fosse un domani, mentre Il Pelliccia mi guarda sconsolato, domandandosi come sia stato possibile che la sua dolce bambolina venisse rimpiazzata con un ultrà incazzato.
Continuo a non capirci un cazzo di basket, tipo io i falli di passi non li vedo mai. Mi distraggo proprio mentre fischiano il tecnico e per non sbagliare grido buuuu all'arbitro. Soprattutto, come la migliore delle supplenti occhialute elementari, premio l'impegno: sei una pippa e l'intero forum urla all'allenatore tiralo fuooooriiii? Io mi dispiaccio, e forse diventi il mio preferito per un po'. Però ti devi impegnare eh. In compenso, sono spietata con gli avversari: inspiegabilmente, pare che tutte le loro mamme pratichino una professione disdicevole. Più passa il tempo, e più si allunga la lista di città in cui non vorrei mai più metter piede, tanto che comincio a paventare un futuro di vacanze spese a fare selfie davanti al Castello Sforzesco e prendere la tintarella all'idroscalo.
Il 28 giugno dell'anno scorso l'Olimpia ha vinto lo scudetto e io non mi sentivo così emozionata dal Natale del '97, quando ho scartato la Barbie Usignolo.
Adesso ci risiamo: vincere, perdere, vincere, subire tanti canestri e poi recuperarli, i gruppi su Facebook, i tweet dedicati, la mia maglia rossa, la diretta su Rai Sport, il tifo il tifo il tifo, il crepacuore, i vola Olimpia vola e poi il tifo il tifo e il tifo. E uscirne con una nuova, inestirpabile convinzione: Sassari, ridente città in quel della Sardegna, tu con i tuoi simpatici nuraghi con me hai chiuso, perché io, quel pugno in pancia a Cerella, finché avrò vita e fiato per il mio fischetto non lo dimenticherò mai mai mai.
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