Negli ultimi dieci giorni ho fatto una serie di scoperte importantissime:
Numero uno, ho trovato la prima delle mie sette sosia.
Chi mi conosce, non potrà non notare una sorprendente vicinanza nel naso proboscideo e nel sorriso cavallino. Sono io, ma potenziata - cioè, idealizzata, con i capelli lunghi che non sono mai riuscita a far crescere e i denti dritti. In ogni caso, da quando La Scoppiatissima Jo me l'ha fatta scoprire, non riesco a smettere di guardare il video di Amara, producendomi in esclamazioni di rinnovato stupore ogni volta che la inquadrano di profilo. Sto anche sviluppando una crescente attrazione verso i turbanti: ho setacciato Etsy alla ricerca di un eshop di ispirazione indiana ma zero risultati soddisfacenti, perciò ti lancio un appello, Amara: da sosia a sosia, ti prego, dimmi dove trovare i tuoi turbanti, voglio essere come te, ciao.
Rivelazione numero due, il mio selfie di Carnevale in abiti Bollywood ha riscosso il doppio del gradimento di qualsiasi mio selfie in abiti civili. La lezione che posso trarne è che forse dovrei abbandonare Zara e darmi all'induismo.
Mi sostiene in questa decisione la rivelazione numero tre, ovvero: la prossima collezione primavera-estate mi fa cagare forte.
Come le peggio fashion bloggerz della mutua, quando si fa una certa stagione, gli uccellini cominciano a cantare e le fashion week ammiccano minacciose, io faccio la sola cosa sensata per farmi trovare pronta con gli imperdibili trend di stagione: apro il sito di Zara.
Zara, paradiso delle copione spiantate, mi dà in cinque minuti la visione generale di quello che Vogue ci impiega settimane a dirmi: a febbraio noi possiamo già sapere se nel giro di un paio di mesi ci toccherà andare in giro in zoccoli o in pigiama, se dovremo sottoporci all'umiliazione della coroncina di fiori o se saremo costrette a mutilare la nostra femminilità sotto pastrani da istitutrice svizzera di fine ottocento.
E vi dirò che ogni anno mi piego di buon grado a queste dettami, felicemente parte del gregge, senza chiedermi mai fin dove si spingeranno le pulsioni sadiche dei Signori della Moda.
Nell'ultimo lustro ho accettato senza un lamento creepers, culotte pants, birkenstock, statement necklaces e perfino cappelli con le orecchie. Pensavo di aver coltivato un discreto pelo sullo stomaco, e invece. La collezione Zara Primavera Estate 2015 mi lascia - eufemisticamente - diciamo, perplessa.
Dicci, Zara, cosa dobbiamo quindi aspettarci da questa primavera?
Ciabatta scacciacazzi, preferibilmente di un numero troppo piccola e sfoggiata senza pedicure. Da abbinare alla gonna altezza francescana e alla tintarella protezione 50+.
Tuta da ciclo mestruale imponente. Rigidamente realizzata in maglina donante, da portare a pelle in giornate senza vento.
Salopette di jeans. Non ha bisogno di commenti, la faccia della modella già dice molto.
Gonna scamosciata, perché gli anni 70 pare non finiscano mai. Da portare con il top in pandant, per un total look a prova di influenza intestinale.
Stile Coachella. Ancora.
Il disagio. Per sentirci più vicini agli utenti della Caritas.
Capello unto, longuette di jeans e impermeabile di riciclo. Pare che il sandalo piccolo sia particolarmente di tendenza.
Sono seri, da Zara? Cioè, vi state divertendo? Volete vedere fino a che punto di aberrazione possiamo arrivare con la nostra incorruttibile fede? State mangiando pop corn e vi preparate a godervi lo spettacolo, scommettendo su quanto saremo coglione a comprarci sta roba e ad avere il coraggio di indossarla pure?
Zara scusami. Scusami. Per me è un no. Ho una dignità perdio. Alla tuta da gestante, ma soprattutto alle ciabattazze, io dico no. Non mi piegherò ai vostri sporchi giochetti. E quando a luglio, sopraffatta dal caldo e con i neuroni in fumo avrò la tentazione di cedere - perché ce l'avrò ragazzi, so che arriverà il momento in cui le mie mani si tenderanno bramose verso la gonna di jeans- ecco, sarà allora che rileggerò questo post e mi ricorderò, Zara. Mi ricorderò di quanto la tua collezione Primavera Estate 2015 mi abbia fatto cagare forte questa sera. E ti dirò mille volte no.
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