lunedì 30 giugno 2014

TRUST ME: I'M NOT STUPID, I'M SHY.

Quando io e mia sorella eravamo piccole, i miei genitori in gita all'Ikea ci parcheggiavano nel box con le palline colorate. Io morivo di vergogna perchè per entrarci bisognava togliersi scarpe e calze ed rimanere a piedi nudi: avevo un microscopico e praticamente invisibile neo vicino all'alluce destro ed il terrore che qualcuno lo vedesse e ridesse di me, perciò trascinavo tutto il tempo i piedi sotto le palline senza alzarli mai. Immaginatevi il divertimento. Ovviamente, mi vergognavo ancora di più a confessare ai miei genitori che avevo un problema con il mio imperscrutabile neo e che per questo non volevo andare a giocare con le palline (per fortuna ero una bambina dotata di coscienza del sè già abbastanza sviluppata), perciò subivo in silenzio.

Ora sono passati gli anni (circa venti), il mio neo forse è scomparso con l'età o forse era frutto della mia sensibile e di scarsa autostima immaginazione, ma ancora oggi provo vergogna a fare le cose più minchione. Ad esempio, mi vergogno a fare il parcheggio a S se c'è qualcuno che mi sta guardando. Penso sempre che il numero di manovre che l'operazione mi richiede siano fonte di sicura ilarità tra i vicini di casa - me li immagino, la sera intorno al tavolo con la famiglia, che raccontano "sai quella cretina del numero 9? Oggi le ho contate, ha fatto tredici manovre per parcheggiare sulla sinistra!" E giù, grasse risate. Bastardi, vi asfalterò tutti.

Oppure mi vergogno a parlare con i bambini. Zioppera, non so mai cosa dirgli, ai bambini. Al di là del puccipuccibaobao iniziale e del "ooooh ma che bella macchinina, ooooh come si chiama la tua bambolina" poi basta. Che voi direte, non ci sono mica tutte queste occasioni di istaurare conversazioni con quattrenni, nella vita di tutti i giorni, e io vi rispondo, il cazzo. I bambini sono ovunque. Le loro mamme sono ovunque: al bar, al lavoro, tra le amiche. E incentivano la conversazione: "fai vedere come sei bravo a fare ciao, dai, da bravo, fai ciao con la manina, non vuoi fare ciao alla Gianni?" e La Gianni dietro "ohssì fai ciao, dai c'mon fai ciao, bambino ti prego fai ciao che la facciamo finita e poi di nascosto dalla mamma ti regalo una vagonata di lecca lecca, o di omogeneizzati, o di lecca lecca omogeneizzati, o insomma di quel cazzo che mangi tu, bambino che porcogiuda non sai fare ciao!

E poi tipo boh, io divento rossa. Anche se mi saluti mentre sono sovrappensiero e mi cogli di sorpresa. E risparmiatevela, la lettura romantica della pudicizia e di quanto sia bella una ragazza che sa ancora arrossire. E' una malattia e ha un nome, eritrofobia, ci avevano fatto una puntata del Dottor House.

Tutto questo pippozzo per dirvi che.
Per dirvi che la vita delle timide è durissima.
Che ci si deve lavorare per gli anni a cucirsi un paio di coglioni addosso e sembrare una che è capace di stare al mondo. Una che non ha paura a fare una telefonata. Una che è a suo agio con le persone. Una che sa cosa dire. 

A volte vorrei che questa casa non avesse la porta.



Readers are often shy people — that’s why they like books, I mean, is a novel going to LAUGH AT YOU BEHIND ITS HAND? No. Books do not have hands.

Maggie Stiefvater





 

3 commenti:

  1. da grande timida, che diventa paonazza anche quando la cassiera chiede "tessera Pam?" guardando negli occhi, ti ringrazio per questo bellissimo post <3 <3 <3 <3

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  2. anche io provo vergogna con i bambini non ho mai nulla di intelligente da dire!

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